
Il piacere
La psicoanalisi e il piacere
Siamo programmati per cercare piacere.
Il piacere e il dispiacere sono i moduli regolatori della nostra vita psichica. La Psicanalisi si è interessata molto del piacere ed è stato proprio Freud a delineare questa pulsione interna descrivendo ciò che spinge l’uomo al piacere e i suoi limiti: il “principio di realtà”. Secondo Freud, noi tendiamo immediatamente a scaricarela nostra tensione interna nella ricerca di provare piacere e se questo ci è impossibile, “alluciniamo nel sogno e nella fantasia “ nel tentativo di realizzarlo.
Se ci pensate, la maggior parte delle conversazioni con uno sfondo erotico-sessuale in chat, non sono altro che una allucinazione nel sogno di una tensione erotica che si vorrebbe immediatamente scaricare. Sarà poi la sperimentazione con la realtà che aiuterà ad imparare, a procrastinare nel tempo il soddisfacimento del piacere, tenendo un comportamento meno allucinatorio.
Vi sembra un po’ eccessivo l’esempio della chat? Bene, pensiamo ai nostri figli o ai nipoti che abbiamo in casa. Dobbiamo solitamente faticare e non poco, per far capire loro che quando la tavola è imbandita, non conviene riempirsi lo stomaco di patatine o tartine ma conviene mangiare piano, piano, dosando ogni portata. Solo così potremmo raggiungere il massimo del piacere trovando l’equilibrio tra la “nostra fame” e il cibo a disposizione. Un principio di realtà apparentemente banale ma, difficile da raggiungere e chi ha bambini, lo sa bene.
Freud poi distingueva un piacere preliminare e un piacere terminale. Il senso era: il piacere libidico deve tendere ad uno scopo. Egli scriveva: “ Sulla via della copula vi sono certe relazioni intermedie con l’oggetto sessuale, come il toccamento e la contemplazione del medesimo, che sono riconoscibili come mete sessuali provvisorie. Queste operazioni sono da un lato collegate esse stesse al piacere, dall’altro aumentano l’eccitamento, che deve durare fino a che venga raggiunta la meta sessuale definitiva”. Da: ‘Tre saggi sulla teoria sessuale’,1905 . Se ne desume quindi che lo scopo della sessualità e del piacere sessuale è la copula ai fini procreativi e per chi non avesse capito bene aggiungeva, sempre nello stesso testo che: “coltivare il piacere preliminare o l’eccessivo indugio in atti che non abbiano come fine il piacere terminale, (alias la copula), sono da considerarsi delle perversioni”.
Freud era un uomo del suo tempo e nonostante la sua indiscussa genialità, ai nostri occhi di post ‘68inni e forse, grazie anche a lui, ci appare per lo meno un po’ antiquato.
Però, diciamocelo chiaramente, non può esser vero che una pulsione così potente quanto quella che ci spinge verso la realizzazione del piacere, si esaurisca prima nella fase orale , il cibo e poi in una sessualità più o meno fantasiosa. Se fosse solo questo, alla fin fine, non saremmo poi così diversi da ogni altro primato.
Jung già nel 1912 in ‘Simboli della trasformazione’ aveva preso un po’ le distanze da Freud, anche a riguardo del significato del piacere libidico. Ciò nonostante in questa fase rimane anche lui ancorato, nella ricerca di un senso fisico-organico, alla pulsione del piacere. Si distingue comunque un po’ dalla concezione freudiana del lattante come un “perverso-polimorfo”. Per Jung l’atto del poppare non può essere etichettato come un atto sessuale e, l’indubitabile piacere che il bambino prova nel succhiare non può essere qualificato come sessuale.
Comunque, anche per Jung, la pulsione del piacere nella prima fasi della vita, fatte le dovute differenze, rimane in una sfera, orale e genitale. E poi, cosa succede quando l’uomo cresce e diventa adulto? L’uomo deve pure avere nel suo DNA un codice che lo spinge a cercare qualcosa di diverso, mi verrebbe da dire, di più alto, oltre il cibo e il sesso.
Non è che questa banale questione filosofica Freud e Jung non se la fossero fatta, ed è proprio nelle due diverse risposte che trovano, che si differenziano definitivamente.
La sublimazione e il piacere
Freud conia il termine della “sublimazione”. Per sublimazione si intende quel meccanismo che è responsabile dello spostamento di una pulsione sessuale, e per la verità anche dell’aggressività, verso qualcosa di non sessualizzato o di non aggressivo che ha solitamente un valore sociale, ad esempio l’attività artistica, intellettuale o l’afflato religioso. Il soggetto prova durante le attività sublimanti un piacere paragonabile alla soddisfazione della pulsione sessuale o aggressiva. Freud scrive: “ Chiamiamo proprietà di sublimazione questa proprietà di scambiare la meta originaria sessuale con un’altra, non più sessuale ma psichicamente affine alla prima”. ‘ La morale sessuale –civile- e il nervosismo moderno’, 1908.
C’era un detto al mio tempo un po’ grossolano, ma che spiegava bene questo meccanismo. Si diceva che i parrucchieri facessero l’amore soltanto il lunedì.
Certo, si sottintendeva che il lunedì i negozi erano chiusi e quindi i parrucchieri potevano riposarsi e dedicarsi un po’di più alle loro mogli ma, verosimilmente era anche possibile che questi soddisfacessero le loro pulsioni sessuali toccando tutto il giorno i capelli delle clienti e soprattutto in quella continua tensione fisica e psichica rivolta verso la soddisfazione dell’altro. Una caratteristica propria dei parrucchieri. Chiaramente è una semplificazione, anche un po’ grossolana ma efficace, di come funziona la sublimazione.
Facciamo una piccola parentesi su questa questione della sublimazione. Premesso che un meccanismo che funziona in maniera automatica, non è che noi lo possiamo controllare: è comune, basico. Il problema si pone quando si ha la pretesa di utilizzarlo volontariamente come soluzione a problematiche sessuali o sulla gestione della aggressività. Quando succede questo, è quasi sempre l’inizio di un dramma. Penso ad esempio alle scelte religiose. Quanti religiosi/e ho incontrato nella mia professione che si erano illusi che facendo una “scelta di castità”, avrebbero risolto le loro tematiche rispetto al sesso. Non funziona così. Il meccanismo della sublimazione è un meccanismo che scatta o non scatta ed è fuori dalla nostra volontà. Nemmeno il tentativo di spostare tutto su un piacere estetico, esempio la bellezza, possono compensare le pulsioni affettive sessuali. Lo aveva raccontato bene D’Annunzio nel suo romanzo ‘Il piacere’.
Ritornando alla psicoanalisi, è Jung che spiccò il volo, che trovò un’altra vera fonte di piacere nell’uomo: l’individuazione. Vivere un processo di individuazione significa trovare il senso della propria vita e realizzarlo. Significa provare piacere nella ricerca della felicità.
la filosofia e il piacere
Armando Massarenti da studioso, ma direi soprattutto amante della filosofia, nel suo bel libro: ‘Istruzioni per essere felici’ Ed. Guanda, ridimensiona un po’ il progetto di felicità che è insito in ognuno di noi e scrive: “ Evitare il dolore, più che perseguire il piacere può essere il percorso più autentico sulla via della felicità”.
D’ altra parte il piacere è stato un oggetto di studio importante in tutta la filosofia antica.
Ad esempio Aristotele nella sua Etica riconosce un processo sublimativo che lui chiama “il piacere del bene” che si ottiene solo con la meditazione e la virtù di una condotta corretta. Per lui la maggior parte degli altri piaceri possono essere cattivi. Aristotele introduce un concetto che è ripreso da Massarenti: “I piaceri del corpo sono quindi utili, ma devono essere ‘moderati’ da una virtuosa temperanza, sia per ragioni di morale che di utilità poiché ‘chi è vizioso lo è perché ricerca l’eccesso’” da Etica Nicomachea
Nei filosofi ma soprattutto in Freud, riconosciute le diverse angolature, il piacere è comunque il risultato di una ricerca edonistica privata dove l’oggetto è il se stessi.
Jung si discosta nettamente da questa modalità precisando anzitutto che la ricerca dell’individuazione non ha nessuna affinità con l’individualismo. Egli scrive: “L’individualismo è un mettere intenzionalmente in rilievo le proprie presunte caratteristiche in contrasto coi riguardi e gli obblighi collettivi. L’individuazione implica invece migliore e più completo adempimento delle destinazioni collettive dell’uomo, poiché un’adeguata considerazione della singolarità dell’individuo favorisce una prestazione sociale migliore di quanto risulta se tale singolarità viene trascurata o repressa”. Da ‘ L’Io e l’inconscio’ 1928
Quindi, mentre Freud chiude il paziente in un ristretto teatro, vedendolo sempre come bambino in relazione con i propri genitori e considera la sua realizzazione prevalentemente sul piano del piacere sessuale, per Jung solo con la connessione con gli altri che ci circondano nel nostro mondo attuale, possiamo raggiungere l’individuazione. Nel contempo, non possiamo avere rapporti veri con gli altri, senza aver raggiunto l’individuazione.
Non vi siano dubbi su queste affermazioni se pensiamo alle relazioni affettive. Una relazione affettiva comporta che entrambi i soggetti siano sufficientemente equilibrati e maturi, nel senso di individuati. Se non fosse così, sarà inevitabile la sofferenza per inevitabili e complicati giochi di proiezioni e narcisismi.
Jung ritorna spesso sul valore sociale della individuazione. Egli scrive: “Come l’individuo non è assolutamente un essere unico e separato dagli altri, ma è anche un essere sociale, così la psiche umana non è un fenomeno chiuso in sé e meramente individuale, ma è anche un fenomeno collettivo.” Da: ‘La struttura dell’inconscio’ 1916
Se la conoscenza di sé è dunque la prima tappa per realizzare se stessi, non si può crescere, individuarsi, senza la ricerca di un mondo migliore. Hillman nel suo libro ‘Il Codice dell’Anima’ 1996, afferma che il nostro carattere e la vocazione nella vita sono qualità innate. Il nostro scopo è realizzare quelle spinte. L’uomo non ha valore perché è superiore agli altri o possiede più degli altri viventi, ma perché riesce a realizzare ciò che potenzialmente è, e, per cui è venuto al mondo. L’uomo cerca la sua compiutezza totale all’interno di un mondo collettivo. Quanto più tu sei te stesso in senso positivo, tanto maggiore sarà il beneficio per la collettività. Abbiamo quindi una speranza e forse non è vero quello che ripete Umberto Galimberti in quel suo traboccante pessimismo che ci inonda di citazioni dal nichilismo nietzschiano, a Heidegger ,che definì il nostro tempo quello “della povertà estrema” fino a Max Weber che disse che viviamo in una “gabbia d’acciaio”. Vedi: ‘D La Repubblica del 9 gennaio 2016’. La speranza sta nel nostro ineluttabile bisogno di piacere e, il piacere come ha evidenziato Jung, per essere tale, non potrà essere solitario ma condiviso.
Il piacere ci salverà.
salve,
volevo chiederle..secondo lei è possibile perdere..non sentire più delle passioni che si aveva pochi anni prima..ad es verso la psicologia..che avevo..anche se nn sono depressa?
Grazie
Certo che è possibile, il perché o il come, io non lo so. Potrebbe saperlo lei o, il terapeuta che la segue, se ne ha uno. Ipotesi? Tante ma a che servono? Solo un terapeuta che la conosce potrebbe fare una ipotesi credibile , che soprattutto, serva a lei.
salve..ho letto l’articolo..molto bello..volevo dirle..io all università ho dovuto portare un libro..e ho scelto http://www.ibs.it/code/9788833957616/psicologia-evoluzionistica.html
che sradica completamente il modo di pensare della psicologia affermatasi nel ‘900..di tipo empirista..dice cose..e porta evidenze..a cui nn posso sottrarmi..sarei ipocrita..ma cozzano con il modo in cui immaginavo la psicologia….volevo chiederle se conosce l approccio…e cosa mi consiglia in proposito..io penso che se portassi avanti le mie idee, dopo che qualcuno le confuta molto bene..sarei un po’ ipocrita, ma perderei una grande ricchezza a mio parere..che nn so più se è vera o falsa…mi sentirei presuntuosa a far valere qualcosa solo xk ci credo io..anche se la scienza or,ai l ha superato e ti da prove che nn puoi nn osservare e integrare…il mio problema nasce quando incontro verità che dicono cose opposte,,entrambe di valore secondo me..e l una nn ammetta l esistenza-validità dell altra per definizione.
Grazie
è una cosa che ho vissuto in diversi campi di interesse personale..e che mi ha portato piana piano a distaccarmi da tutto..a perdere la fiducia in tutto e l interesse verso i miei interessi..nn sento più le cose come un tempo…
altra cosa..da circa 3 mesi sento tutto diversamente..ho 23 anni….ho perso le mie spinte interiori..il mio modo di sentire e i miei tratti caratteriali…sento la vita adulta che mi opprime, come fatica..nn sentendo più i miei interessi..anche se nn sono depressa..e nn riero a immaginare e vivere la me di prima e questa di adesso..coniugare piacere e dovere…sento in 2 modi diversi…parlo di 2 parti di me separate..quella interna che nn sento più..curiosa ,sensibile ecc..e quella esterna..vuota..sopraffatta dalla vita e che sente la vita adulta come una privazione della libertà..xk ha perso il desiderio secondo me…scusi la lunghezza
Gent.ma Signorina,
le faccio tanti auguri per la sua laurea. Penso che a scuola lo studente deve fare lo studente. Può certo tentare di esprimere in maniera dialettica un parere diverso rispetto ad alcune affermazioni ma, solo dopo aver fatto e studiato quanto il Professore insegna. Primo imparare, anche molto bene e poi, discuterne. Le tematiche personali a cui lei fa riferimento trovano una risposta solo all’interno di un percorso personale
Grazie per gli auguri
anche se per come sto, per l assenza di desiderio..le tasse salate ..entro pochi giorni devo decidere se lasciare,posso rinunciare, ma ancora per poco..i mie non pagherebbero ancora..una terza università…se nn do esami(giustamente)e io nn riuscirei a dare esami così