
Inconscio collettivo in Jung
L’ inconscio collettivo negli scritti junghiani
Prima di inoltrarmi in alcune considerazioni personali e cliniche sull’ inconscio collettivo e nella sua intrinseca pulsione rigenerante, cercherò di fare un breve excursus storico sulle definizioni junghiane dell’ inconscio collettivo e gli archetipi.
La prima volta che Jung usò la definizione di inconscio collettivo era il 1912 nel suo libro ‘Trasformazioni e simboli della libido’, dove egli riportava il contenuto di alcune allucinazioni di pazienti schizofrenici senza alcuna cultura e scolarizzazione. In questi deliri si evidenziavano miti di un passato ed elementi culturali che loro non potevano aver in alcun modo direttamente conosciuto e tanto meno acquisito. Jung scriveva che: “Per l’esperienza psicologica questi sono i contenuti archetipici dell’ inconscio collettivo, i resti, uguali in tutti gli uomini, di un’umanità antichissima, il patrimonio comune ereditario e intatto da ogni differenziazione ed evoluzione, donato agli uomini al pari della luce e del sole e dell’aria”. Quindi nella prima definizione di inconscio collettivo egli lo collega chiaramente a ‘immagini primordiali’ ereditate.
Successivamente Jung come ricercatore o empirista, come lui si definiva, farà i conti con il pensiero dominante del tempo, in particolare con il lamarkismo. Lamarck, antropologo evoluzionista (1744-1829) sosteneva come gli organismi, fossero il risultato di un processo graduale ma continuo di modifiche che avveniva per la pressione ambientale, escludendo quindi un fattore ereditario. Così, anche Jung per un certo periodo dopo il 1912 tentennerà un po’ sull’ereditarietà dell’ inconscio collettivo ma nel 1917 in ‘Psicologia dell’inconscio scrive: “L’ inconscio collettivo è come un sedimento dell’esperienza e insieme, in quanto a priori, dell’esperienza stessa, un’immagine del mondo che si è formata nel corso dei secoli”.
Negli anni a seguire e fino alla sua morte Jung ritornerà spesso sul concetto di inconscio collettivo. Con il tempo però modificherà la sua idea non tanto sull’unitarietà dei prodotti dell’ inconscio collettivo ma, differenzierà l’oggetto dalla funzione. Infatti egli scrive in ‘La struttura della psiche’ (1927) “L’inconscio collettivo è un patrimonio ereditario di possibilità rappresentative non individuali ma comuni a tutti gli uomini e forse a tutti gli animali, e costituisce la vera e propria base della psiche individuale’. Ancora in ‘Problemi generali in psicoterapia’ (1929) egli scrive: “Con questo termine ( inconscio collettivo) intendo un funzionamento della psiche inconscia, comune a tutti gli uomini”.
Jung approda a quello che appare il suo arrivo nella ricerca del concetto di inconscio collettivo in ‘Thestructure and dinamics of the psyche’ (1948). Egli scrive: “Gli archetipi non devono essere ritenuti idee ereditate ; piuttosto l’equivalente di schemi di comportamento della biologia. Gli archetipi rappresentano un modo del comportamento psichico. Come tali , sono fattori irrappresentabili che inconsciamente informano gli elementi psichici”.
Ereditarietà dell’ inconscio collettivo e sviluppo umano
Jung quindi, lavorando per decenni sulla propria vita psichica e trattando migliaia di pazienti, giunse alla certezza che l’uomo possiede una eredità psichica: l’inconscio collettivo. Questo stimola e promuove fenomeni fondamentali per la vita psicologica, come le altre caratteristiche ereditarie si manifestano a livello fisico.
Jung con il suo lavoro ha affermato di credere con certezza assoluta e di averne le prove, che ogni uomo è sottoposto ad una spinta verso la crescita, la quale ha già in sé i codici di una conoscenza onnisciente a priori. I codici di questa conoscenza sono gli archetipi.
Si pone però un problema che non è separabile dall’inconscio collettivo e dagli archetipi: la sincronicità. O meglio, se è vero quello che lui dice alla fine della sua ricerca che l’inconscio collettivo è caratterizzato dalla funzione più che dall’oggetto, come sono allora possibili le coincidenze significative o meglio i fenomeni sincronici?
Inconscio collettivo e internet
In un articolo che avevo pubblicato un po’ di tempo fa, avevo paragonato l’ inconscio collettivo ad internet e avevo definito internet come un surrogato tecnico di questo. Come tutti i surrogati, internet crea meccanismi di dipendenza. In realtà, acclarato che internet non è l’inconscio collettivo ma una sua rappresentazione, bisogna riconoscere che verosimilmente esso lo rappresenta bene. Internet infatti è ‘la rete’ che collega tutto a tutti. E’ proprio questa caratteristica di onnipresenza e onniscienza che rende internet la rappresentazione più credibile dell’inconscio collettivo. Scriveva Jung nel (1918) in ‘Collected Works, vol. X’”:L’ inconscio collettivo…è come uno spirito che pervade tutto, onnipresente, onnisciente.”
Vi assicuro che lui internet non lo conosceva o, forse, si!
Di: Renzo Zambello
Brano tratto dal libro di Renzo Zambello ” Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista” Ed Kimerik
Interessante parogone…Internet come rappresentazione dell ‘ inconscio collettivo archetipico!
Come sono possibili i fenomeni sinconici quindi?
Per la scienza quantistica dovrebbe essere implicito che questi fenomeni siano determinati dall’osservatore e dalle corrispettive sue immagini legate al suo percorso evolutivo dove oggetto e soggetto si fondono in un percorso di crescita personale.
Come siano possibili io non lo so.
Come clinicamente avvengano, abbiamo qualche dato in più.
Ad esempio, escluderei che i fenomeni sincronici abbiano di per sé una valenza “rivelatrice” o ancor più finalistica. Molto spesso avvengono senza che vi sia alcun significato. Ci basti pensare che la maggior parte di tali fenomeni li potevamo riscontrare nei manicomi. Lì avvenivano semplicemente perchè le persone che vi abitavano avevano un Io debole o inesistente. Questo però ci induce a pensare quasi con certezza che in questi fenomeni sono coinvolti strutture dell’inconscio. E’ evidente che tali strutture possono anche attivarsi in peculiari situazioni psicologiche quali uno stato affettivo intenso o in uno stato modificato di coscienza come nella preghiera.