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Psicoterapia Junghiana

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Psicoterapia junghiana: cercare se stesso nell’ombra

05/03/2016 da zambello 9 Comments

 

“Non si diventa illuminati perché ci si immagina qualcosa di chiaro,

ma perché si rende cosciente l’oscuro”

Opere Vol. 13 pag. 291

Psicoterapia junghiana

Psicoterapia junghiana

Psicoterapia junghiana e psicoterapia freudiana.

Mi capita che ogni tanto qualcuno mi chieda quali siano le differenze  tra la psicoterapia junghiana e quella freudiana. La prima risposta che do  è:  nessuna.  Ma non è vero,    è una verità solo a metà. Ci sono delle sostanziali differenze.

E’ bene però ricordare che storicamente, al contrario di quanto si pensa, Jung non ha mai censurato il lavoro di Freud, anzi, si è sempre posto il problema di dimostrarne la  validità. Contestava il presupposto teorico là dove Freud affermava che il mondo psichico fosse fondamentalmente regolato solo dalle pulsioni: libido e aggressività.

Infatti in ‘Psicologia dell’inconscio’ (1942) Jung scriveva che  era  vero ciò che diceva  Freud a proposito della rimozione dell’Eros, ma che  l’attività psichica non era  riferibile solamente a questo ,  anzi  la pulsione libidica  interessava  solo una piccola   parte dell’ inconscio.

Inconscio collettivo.

Jung è conosciuto soprattutto per le sue teorie sull’ inconscio collettivo  e  gli archetipi. Ciò che lo ha reso veramente diverso da Freud è l’idea che la psicoterapia deve  riconoscere e avviare verso l’individuazione.   Peculiare era poi  il significato che lui dava al sintomo, cioè al disagio psichico-fisico, sia esso soggettivo che obbiettivo. Egli sosteneva  che il sintomo non va combattuto né eliminato.  Bisogna trovarvi  un significato e un valore. Il sintomo è il  segnale,  indica la strada da percorrere.

L’idea che il sintomo sia un segnale, ovvero una ricchezza  dell’inconscio, contiene in sé un altro basilare concetto della psicoterapia junghiana: l’ombra. Il tema dell’ombra è centrale in Jung e permea tutta la sua concezione della psiche.

La psiche secondo Jung, è estremamente più complessa del modello freudiano.  Jung si pone di fronte ad essa come uno ‘strutturalista’ ovvero, come scrive Ann Casement,  come uno studioso che percepisce la psicologia,  come un  “insieme organico scomponibile in elementi e unità, il cui valore funzionale è determinato dall’insieme dei rapporti fra ogni singolo livello dell’opera e tutti gli altri.”  da ‘Manuale di Psicologia junghiana’. (2009). Nella psicoterapia junghiana ne deriva quindi che è difficile,  se non quasi impossibile,  dare una definizione precisa della funzione del sintomo e  dell’ombra,  come elementi determinanti allo scopo dell’individuazione

In una psicoterapia junghiana i problemi correlati all’ombra  si manifestano  nel sintomo e sono  i primi che richiedono l’attenzione del terapeuta.  Spesso sono il motivo, l’epifenomeno che spingono il paziente a chiedere aiuto. L’ombra del paziente, meglio definita da Jung come ombra personale, da distinguere dall’ ombra collettiva, viene percepita dal paziente come un insieme di aspetti a lui inaccettabili  e avvolti  in  emozioni negative quali l’aggressività, l’invidia, la pigrizia, la gelosia e,  molto spesso, la vergogna.

Il paziente e l’ombra

Il paziente non ha una conoscenza della sua ombra.  Essa viene negata e molto spesso trasferita sugli altri. Vede e combatte negli altri quello che gli appartiene,  mettendo in atto un  processo di difesa transferale. Come nel Vangelo “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? ”.  Matteo 7,3

La difesa transferale, come pure la negazione o la razionalizzazione,  sono alcuni dei  meccanismi inconsci di difesa dell’Io rispetto all’ombra, rispetto cioè a qualcosa che viene percepito come negativo. E’ come una ingessatura di un arto dopo un trauma. Le difese dell’Io sono l’equivalente del gesso. Hanno la  funzione di salvaguardare momentaneamente e proteggere l’Io, come il gesso protegge l’arto ferito. E’ chiaro però, che la funzione di queste difese deve essere limitata nel tempo.  Dopo un po’, se mantenute, diventeranno  dannose.

Ed è proprio la parte ‘sana’ del paziente che avverte, tramite il sintomo, la necessità di liberare l’Io dalle sovrastrutture difensive.

Ai pazienti che soffrono di attacchi di panico dico sempre che devono sentirsi fortunati e grati al loro inconscio. L’attacco di panico molto spesso  è l’episodio doloroso, drammatico e inaspettato che cambia la vita rinnovandola e aiutando il paziente a guardarsi dentro, facendo scelte più coerenti con il Sé.  E’  sempre drammaticamente insufficiente e  colpevole  la sola risposta farmacologica al sintomo.

Mi riferisco in questo momento ai drammatici sintomi dell’attacco di panico e alle risposte terapeutiche proposte. E ciò vale anche per ogni altra malattia del corpo. Ogni risposta alla malattia, al sintomo,  su un piano puramente farmacologico è come silenziare l’anima, negare una parte del Sé.

Concetto di ombra secondo la psicoterapia junghiana.

Abbiamo cercato di definire l’ombra come l’altro lato della personalità, il lato  oscuro che si contrappone all’ Io cosciente. Mario Trevi definiva l’ombra come la causa di tutte le antipatie e idiosincrasie,  dovute al fatto che si proietta  sull’altro quanto vi è di umbratile nella propria personalità.

Da un punto di vista clinico però, la consapevolezza della propria ombra che avviene attraverso un processo di introspezione,  meglio se all’interno di una psicoterapia, pone delle questioni molto interessanti. La consapevolezza di Sé aumenta di fatto le potenzialità del soggetto, a tutti i livelli.  Ma,  rispetto all’ombra, vi possono essere comportamenti personali, situazioni cliniche, molto peculiari.  Una di queste è stata descritta da Stevenson ‘Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde’. Si tratta di un caso di scissione dell’ombra, ovvero come un rifiuto di questa che continuerà a vivere una vita autonoma,   senza alcuna altra  relazione con il resto della personalità. Si conosce poi un altro meccanismo dell’Io chiamato ‘identificazione con l’ombra’. Si tratta della scelta di identificarsi con la parte più negativa di Sé, di dare continuamente  una cattiva impressione personale, creando sempre  degli ostacoli là dove esistono solo nella mente del soggetto.

Processo di individuazione nella psicoterapia junghiana

Jung dice che il processo d’individuazione è possibile a chi diventa conscio della propria ombra. Il processo di integrazione delle propria ombra è un processo difficile che sfiora il limite dell’impossibile in quanto significa venire a patti con ciò che  ai nostri occhi è irragionevole, privo di senso e persino malvagio.

Fa notare jung che il pericolo insito in questa lotta sovrumana tra l’Io cosciente e l’Ombra, è che l’Io oltre a  difendersi, come abbiamo già visto, con meccanismi transferali, dissociativi o identificatori con l’ombra (col male),  potrebbe anche identificarsi con un Sé trascendente: sono buono, voglio essere perfetto.  Ciò comporterebbe il pericolo dell’inflazione dell’Io con conseguenti deliri di onniscienza e di onnipotenza. Una via certa verso la follia.

Abbiamo fatto cenno all’esistenza di un’ombra collettiva. La storia,  anche recente,  ne ha dato purtroppo ampia dimostrazione. Pensiamo all’abbaglio hitleriano dove un’intera nazione si è identificata in un’ombra. Potremmo fare esempi anche più recenti e più vicini a noi italiani. Ma preferisco non addentrarmi. Credo peraltro non sia compito della psicologia entrare in dimensioni politiche. Quando qualche psicologo lo ha fatto,  ha rischiato sempre di prendere  delle grosse  ‘cantonate’.

Psicoterapia junghiana e integrazione dell’ombra.

Alla fine,  le domande   sono: cosa dobbiamo fare dell’ombra, come convivere con essa e come può la psicoterapia junghiana aiutarci a collocare l’ombra nella nostra personalità?

Abbiamo visto che non serve a molto proiettarla su un ‘nemico’,  tentando così di neutralizzarla e magari combatterla. Si farà risentire, magari attraverso un sintomo nevrotico che può essere una somatizzazione, uno stato depressivo o un attacco di panico. La cosa peggiore che ci possa succedere è  l’ inconsapevolezza della sua esistenza che ci espone al pericolo di una cronicizzazione di disagi psicofisici.

L’unica possibilità di integrazione dell’ombra è che questa venga messa a confronto  con la propria ‘coscienza’. Il primo passo per  andare incontro all’ombra,  se questa diventa cosciente,  è la repressione degli impulsi quando sono incompatibili con la coscienza. Repressione degli impulsi è diverso da rimozione che è un meccanismo nevrotico. La repressione è una scelta conscia che, come dice Jung,  provoca una ‘sofferenza legittima’.  Jung, però, dubita dell’utilità della repressione degli istinti insiti nell’ombra che giudica  un meccanismo incerto e troppo dispendioso. L’ombra ha bisogno di esprimersi. Scrive: “la repressione dell’ombra è un rimedio altrettanto meschino quanto la decapitazione contro il mal di testa”. E continua,  consapevole che  nessuno di noi può far senza un’ etica‘…  “Distruggere l’ etica di un uomo non giova, poiché si ucciderebbe  la sua essenza migliore, senza la quale nemmeno l’ombra ha un senso”. Da ‘Psicologia e religione’ (1938).

L’io così si trova ben presto ‘bloccato’ in un conflitto interno e potrebbe  scoprire che le sue forze sono insufficienti. E’ in questo  momento la psicoterapia junghiana può trovare il massimo del suo significato: aiutare il paziente a non sottrarsi al conflitto, senza però proporre alcuna soluzione. La soluzione  può venire solo dall’inconscio del paziente.

Il nodo del conflitto sarà sciolto  nel momento in cui il paziente recupererà dentro di sé la sua etica. L’etica è diversa dalla morale. La morale induce l’uomo ad adeguare il proprio comportamento ai parametri esterni, quelli religiosi, culturali dominanti e quelli della famiglia, della società,  che sono stati introiettati e sono attivi nel super-Io. L’etica invece, è la voce interna della coscienza, totalmente soggettiva, quella che Jung chiama  ‘vox dei’ o voce interiore. La voce interiore può essere parzialmente o anche totalmente antitetica alla morale, ma è ciò che corrisponde a quell’individuo nella sua potenziale alteralità.

La pratica dell’etica richiede coraggio e maturità. Significa sopportare il peso del dubbio.  Come scrive Jung: “ il rischio dell’errore e a volte l’incomprensione del prossimo  ci può abbandonare alla solitudine. Tuttavia esso è un dovere irrinunciabile poiché si tratta di un valore interiore, la violazione del quale non è uno scherzo e ha , alle volte, gravi conseguenze psichiche”.

Per Jung quindi la decisione etica è un vero ‘atto creativo’ al quale si giunge dopo un percorso lungo e  faticoso. E’ la via della ‘Croce’ alla quale spesso anche Jung si rifà simbolicamente. Tale percorso porta alla sintesi di tendenze consce ed inconsce, razionali ed irrazionali, all’integrazione dell’ombra e alla liberazione di una grande quantità di energia e a potenziali creativi.

Questa è la risurrezione alla quale tendere.

Di Renzo Zambello

Brano tratto dal libro di Renzo Zambello: “Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista”. Ed. Kimerik

Renzo Zambello

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Filed Under: Psicoterapia Junghiana Tagged With: Medico psicoanalista Novara, Novara, ombra, paura, psicoanalisi Junghiana Novara, Psicoanalista Novara, Psicologo Novara, psicoterapia junghiana, realtà

Comments

  1. mariacristina Turrisi says

    06/03/2016 at 02:17

    Sono molto contenta che finalmente. Lei dott Zambello. Mi ha spiegato bene la differenza tra un psicoterapeuta fleudiani è junghiani. Io credo più all’aiuto psicologico junghiano.lo trovato più vero. Io ho sofferto molto nel mio caso. Facendo terapie junghiani sono molto migliorata. Senza prendere medicinali. La saluto cordialmente è la ringrazio per la sua disponibilità. Mariacristina

  2. mmzambello says

    06/03/2016 at 07:22

    Grazie a lei. Buona giornata.

  3. Maurizio Ruffino says

    06/03/2016 at 16:43

    Non conosco a fondo Jung, ma nella tua trattazione generano un me equivoco i concetti di morale ed etica. La morale, anche secondo il dizionario, attiene di più alle scelte spirituali intorno al bene od al male, mentre l’etica, Nello stesso ambito, riguarderebbe più la prassi. In Jung è il contrario? Grazie in anticipo del chiarimento ed un cordiale saluto

  4. Nicola Perchiazzi says

    07/03/2016 at 12:20

    Eccellente esposizione.
    Certamente l”ombrosità’ (ma anche la ‘luminosità’) delle rispettive ascendenze ebraiche e protestanti – parlo delle loro ‘Weltanschauung’ – ha contribuito alle loro differenze.
    Inoltre, su Jung, come su Assagioli, soffiava la brezza ‘teosofica’ (in senso lato).
    Complimenti e saluti
    Nicola Perchiazzi

  5. mmzambello says

    07/03/2016 at 14:10

    Gent.mo Signor Ruffino,
    per Jung il motore della dinamica psichica è la funzione trascendente , nel senso che componendo gli opposti come possono essere i contenuti consci e inconsci consente di approdare a una situazione psichica nuova. La matrice per questo non può essere la morale che per definizione sono regole stabilite all’esterno e introiettate da noi a livello del Super-Io ma l’etica. Per Jung l’etica è una modalità d’esistenza che spinge l’individuo verso l’individuazione. L’autenticità dell’esistenza dipende dalla sua capacità di divenir se stessa al di la delle norme collettive morali.Ne consegue che l’etica può essere all’opposto della morale ma se uno vuole individuarsi, deve seguire la propria etica.
    D’altra parte a livello collettivo la morale è diversa a secondo dei tempi storici, pensi alla masturbazione come “peccato”. Penso che nessuno oggi possa dire con serietà che la masturbazione è un peccato se non addirittura dannosa. L’etica è qualcosa di profondo e imperituro, non cambia ed è individuale.

  6. Stefania says

    14/02/2017 at 06:48

    Mi immagino la morale come un guardare se stesso rispetto all esterno preoccupato di non deragliare di non uscire dal binario di norme condivise che ha la sua importanza nel processo di adattamento alla società mentre vedo L etica come un uomo bendato, cieco, che cerca una strada seguendo le indicazioni che vengono dall interno da se stesso..come un atto di progressiva e più decisa liberazione, un processo difficile di presa di coscienza e di abbandono di schemi ripetitivi di azione che imprigionano la nostra felicità ossia la piena realizzazione di noi stessi ( il coraggio di affrontare il cambiamento, di intraprendere una strada nuova, di soffrire, di rischiare, di avere fiducia…)

  7. Roberto Zanca says

    16/02/2018 at 11:08

    Però… Hillman mi ha convinto che oggi, dopo 100 anni di psicoanalisi, non impegnarsi socialmente per uno psicologo è un ritirarsi dalla vita. Giusto andare dentro di noi, ma poi bisogna uscire nel mondo e sbagliare, soffrire e magari anche morire…

  8. Alberto says

    26/07/2018 at 13:33

    Il grande Jung dicendo che l’etica e’ la nostra salvezza,ha ridetto una Cosa Che dicevano continuamente gli stoici Sia greci come Zenone e Crisippo,che Latino come Seneca ed Epitteto:il motto degli stoici era :BASARE LA NOSTRA SULLE NOSTRE QUALITA ETICHE.Qualche anno dopo Jung anche Foucault disse;solo attraverso l’etica ci prenderemo curator Di noi stessi e degli altri,ma ora Che ci penso, duemila Anni fa un certo Gesu’ il nazareno non diceva continuamente AMATE IL PROSSIMO COME VOI STESSI…

  9. Alberto says

    26/07/2018 at 13:35

    Gli stoici dicevano basare la nostra Vita sulle nostre virtu’ etiche,saluti

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