
Il senso della vita
Il senso della vita è viverla, non esserne vissuti.
Siamo “programmati”, fin dalla nascita, alla felicità. Per il grande psicoanalista Carl Jung, nelle parti più profonde dell’animo umano, esiste innata questa predisposizione naturale alla gioia. Come un seme contiene tutto il “progetto” della pianta futura, così i neonati, si affacciano alla vita con un ricco bagaglio di potenzialità che svilupperanno, al meglio o meno, in relazione a quello che incontreranno di positivo o interferente, nello svolgersi della loro età evolutiva.
Qualunque siano i condizionamenti ricevuti, tra le cose che abbiamo avuto e i bisogni affettivi e di considerazione non appagati, noi rimaniamo i “signori” del nostro destino. In qualunque momento possiamo tornare padroni di noi stessi. Il cammino, a volte tortuoso, della vita potrebbe averci fatto smarrire. Spesso, quello che noi vorremmo essere, è troppo diverso da quello che siamo veramente. Tra “Io ideale” e il “Sé reale” non dovrebbe esserci troppa distanza. Non tanto ridimensionando l’immagine che vorremmo avere di noi, quanto rafforzando il nostro essere effettivamente. Fidandoci istintivamente del nostro sentire; pensando a quello che vogliamo, più che alle aspettative degli altri; creando più equilibrio, tra quello che “dobbiamo” e “vogliamo” fare, potremmo ritrovare tutta la nostra chiarezza di vita. L’accettazione di sé è legata all’autostima, perciò, giudicarci meno severamente ci permetterebbe di essere positivi verso noi stessi, ed esprimere, così, tutte le qualità che sono già dentro di noi. Il senso della vita è viverla. Per evitare che sia lei a “viverci” è indispensabile tornare padroni della nostra mente, impedendole il continuo affondare nel passato o l’anticipare gli eventi futuri. Il “qui ed ora”, ovvero la consapevolezza di quello che stiamo provando di volta in volta attraverso i nostri sensi, ci renderà sempre “presenti” a noi stessi. Avere il coraggio di essere veri potrebbe farci scoprire che siamo, di gran lunga, migliori di quello che vogliamo sembrare di essere per venire accettati dagli altri e che, in fondo, più che gli altri, siamo noi che non diamo valore a noi stessi. Rientrando in contatto con i nostri veri bisogni e desideri, potremmo sognare una vita migliore e un mondo migliore. Scopriremmo la leggerezza di essere, il sorriso, l’accoglienza, la simpatia, con la sorpresa di accorgerci quanto, facilmente, tornano indietro questi atteggiamenti… “amore e cura di sé” è un progetto personale per ritrovare il valore di se stessi e della propria vita, diventando consapevoli di quello che è già dentro di noi come esseri psicofisici. Per questo, è indispensabile cominciare ad osservarsi nelle quattro funzioni vitali: “Nutrizione” (l’equilibrio emozionale va di pari passo con quello alimentare), “Depurazione” (depurare mente e corpo), “Rilassamento” (rilassare i muscoli e il pensiero), “Sonno” (il sonno del giusto).
da:http://iltempo.ilsole24ore.com
Commento del Dott. Zambello
Non so se le quatto “funzioni vitali” proposte dall’Autore dell’articolo siano sufficienti ad aiutarci ad essere noi stessi, a trovare il senso della vita, a realizzare la propria “individuazione” come dice Jung. Realizzare l’individuazione è un po’ quello che dicono i cattolici “scoprire la propria vocazione” o per gli orientali “arrivare alla illuminazione”. Essere noi stessi come diceva Freud é “diventare padroni a casa propria”, o meglio ciò che prima era incoscio ora é conscio. Come junghiano non credo che l’affermazione di Freud non sia mai totalmente realizzabile. Penso ad un inconscio come ad una vastità dove la mente e l’esperienza, mai raggiunge la consapevolezza. L’inconscio come lo spazio celeste. Tanto più lo scruti, tanto più questo si apre verso l’infinito. Jung riteneva che la psicoanalisi, soprattutto quella fatta nell’età adulta possa aiutare ad incamminarci verso l’individuazione, a trovare il senso della vita.
E’ vero cio che dice Dott. Zambello. Fino a un certo punto la vita prende semso dalla soddisfazione di tutti quei desideri,più o meno profondi e autentici,che ci si presentano e premono per la loro realizzazione per cui ci sentiamo sempre impegnati in qualcosa,e anche felici. Da un certo punto in avanti ci accorgiamo che le solite cose che abbiamo fatto fino ad oggi non ci danno più lo stesso senso di pienezza,e più avanti comincia ad affacciarsi la sensazione che è altro che cerchiamo,e questo altro sembra non avere niente a che fare con le cose che ci sono consuete,Si prova un senso di affascinamento ma anche paura,e non si sa se si vuole e dove cercare,in se stessi immagino,permettendosi di ascoltarsi. L’alternativa,il fermarsi a metà sembra essere proprio una vita piatta e depressa a cui si cerca rimedio con la ricerca di banali distrazioni….
Sono a metá strada proprio come chi ha scritto il precedente commento…. Sei riuscito a trovare una soluzione?
Sono a metâ strada anche io … Le parole del tuo commento sembrano uscite dalla mia bocca… “Banali distrazioni” è ció che vedo nelle vite altrui… A me non bastano più. A volte mi guardo intorno e cercoo un modello, magari un qualcuno che abbia capito come si debba vivere.. una persona felice insomma. Anni passati a farlo ma non l’ho trovata. Chi si rifugia negli affetti di coppia e familiari, che altro non sono che una via per tentare di scappare dalla solitudine e un alibi per spostare il centro da sè stessi, cosa molto piu difficile da gestire, chi invece ripiega in sogni materiali, in carriere, nel potere… Ma a me tutto questo non
Interessa piu, ho avuto tutto e nulla di tutto questo è la risposta. A volte mi chiedo se forse la vita debba solo essere un semplice susseguirsi di banalitá nuove, di nuove piccole sfide quotidiane, vuoi che sia un allenamento in palestra o una nuova conquista amorosa… O forse bisogna sapientemente attendere gli eventi che ci aspettano… Fatto sta che se non ci si fa fregare dallo stile di vita moderno incentrato su consumismo, matrimoni, mutui, animali da casa da gestire e televisione, questa sensazione arriva dritta al cervello in poco tempo… Non si chiama depressione, è il senso di vuoto che pervade tutti noi, solo che alcuni sono distratti dal “film della societâ” e dalle sue banalitá, altri sono desti e possono avvertirlo. Dovrebbe dare una spinta al raggiungimento di qualcosa di piu alto, ma ancora non ci riesco ad arrivare…
Preferisco pensare alla ricerca della propria vocazione da un punto di vista filosofico. La religione cattolica, per quanto possa avere spinto l’uomo verso se stesso , l’ha fatto secondo le sue coordinate, il suo credo, le sue ipocrisie senza valutare nell’individuo la propria natura, ma relegandola in un insieme che non corrisponde mia a ciò che siamo veramente, ma a ciò che ci impone un pensiero comune. Quindi ognuno ha una vocazione e la deve trovare dentro di se, non fuori.