Il sogno
Il sogno, tra il mistero e la realtà
Diceva Freud che “l’interpretazione del sogno è la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio nella vita psichica”. Da: ‘L’interpretazione dei sogni’ (1899). Per Jung, come scrive Daniela Bucelli nel: ‘Trattato di Psicologia Analitica’ (1992) il sogno si configura come il mezzo per eccellenza, il tramite più significativo per arrivare alle “sorgenti segrete e originarie della vita psichica: ‘medium’ con la realtà inconoscibile e totalmente ‘altra’, la cui comprensione rimane aperta al mistero stesso della vita”.
Anche la neurofisiologia si è sempre interessata del sogno e del sonno e ha definito fase REM (Rapid eye movement) la fase del sonno onirico. Tutti sogniamo diverse ore durante la notte, indipendentemente dal fatto che poi ricordiamo o meno i sogni. Secondo i neurofisiologi la fase REM è caratterizzata da importanti processi psicofisiologici, ad esempio, processi vegetativi, quali l’accelerazione del battito cardiaco e del ritmo respiratorio, l’ aumento della pressione sistolica e l’erezione del pene. E ancora, processi muscolari come i movimenti oculari rapidi e la diminuzione del tono muscolare. Durante il sogno si registra poi l’attivazione della parte del cervello più antica, l’ippocampo. Vi è un aumento del metabolismo endocranico e da un punto di vista endocrino, si ha l’attivazione della ipofisi, degli ormoni tiroidei, del somatotropo e degli ormoni gonadici. Per quanto riguarda la sua funzione, si sono fatte diverse ipotesi:
- il sogno serve a ‘pulire’ il sistema nervoso dai metaboliti endogeni ,
- il sogno serve a procurare una soddisfazione ‘mascherata’ a desideri non realizzabili nella realtà.
- durante il sogno avviene una selezione delle informazioni mnemoniche accumulate durante il giorno così da favorire i processi di memorizzazione.
E gli psicofisiologi forniscono un elenco quasi interminabile di quelle che sono le presumibili sue funzioni. Purtroppo appaiono tutte come verità parziali.
Il sogno continua a tenere in sé un mistero che non è svelabile nelle sue funzioni e va oltre la funzione biologica e anche oltre quella psicologica.
Il sogno è la vita.
Una cosa sembra certa: senza il sogno non possiamo vivere. La nostra vita è legata in modo non scindibile al sogno.
Il sogno e il pensiero junghiano
Jung dopo la rottura con Freud, nel 1913, divenne un po’ più libero e franco nella esposizione delle sue teorie, compresa quella sul sogno. Egli ripeté più volte che le immagini oniriche non sono dei segni ma dei simboli. Il segno come dice Umberto Eco è “qualcosa che sta per qualcos’altro”. Il simbolo racconta se stesso. Il sogno di un campanile in una interpretazione freudiana ad esempio evocherebbe un pene. In una interpretazione junghiana semplicemente un campanile, con tutto il suo significato religioso. E ancora, Freud pensava che le immagini oniriche fossero un materiale conscio rimosso, Jung, che solo una piccola quota del sogno potessere essere una parte conscia rimossa e molto di esso, non è mai stato presente a livello conscio nella mente di quella persona. Il sogno è spesso ‘materiale’ dell’inconscio collettivo.
E’ proprio la costatazione che esso ha una struttura complessa, composta da parti stratificate, dove ogni singola parte ha una origine diversa, che porta Jung a pensare al sogno come ad un prodotto di tutto il Sé, ovvero dell’Io, del super-Io, dell’inconscio, dell’inconscio collettivo, del corpo e, aggiungerei, dell’anima.
Tutto il Sé partecipa alla formazione del sogno. E’ questo il motivo, come diceva Hartmann, per cui nessuno può interpretare i suoi sogni. Infatti, potendo noi leggere il sogno attraverso l’Io che è una piccola parte del Sé, non possiamo ‘leggere’ il nostro sogno che è il prodotto del tutto. Sarebbe come vedere un film attaccati allo schermo. Vedremmo tanti puntini colorati ma non potremmo mettere a fuoco l’immagine. Solo chi è all’esterno, lontano dallo schermo, lo può fare.
Il sogno e la sua interpretazione
Gli anni tra il 1924-28 sono quelli in cui Jung elabora definitivamente il suo pensiero sul sogno e scrive che i sogni rappresentano “le vedute più profonde sull’anima dei pazienti” e continua affermando che l’interpretazione di questi deve coinvolgere i vari livelli della personalità dell’analista. Così come il sogno è il frutto di tutto il Sé del paziente, anche l’interpretazione deve essere il frutto del Sé del terapeuta. Egli scrive: “Visto che il sogno viene fatto dalla totalità dell’uomo, anche la persona che deve interpretarlo deve venirgli incontro con la sua totalità” Da: ‘Psicologia dell’educazione’ (1924)
L’interpretazione dei sogni non è un’idea nuova, né tanto meno è da riferirsi al solo pensiero psicoanalitico. Per millenni le persone hanno cercato una predizione o una risposta dai sogni.
Qui mi riferisco solo al significato, all’interpretazione del sogno portato in terapia. E’ a questo significato simbolico che io mi interesso, senza escludere a priori altri significati che esulano dal setting terapeutico.
La psicoterapia dinamica e il sogno
Partirei da un assioma: l’inconscio non spreca energia.
Tutto ciò che l’inconscio produce ha una finalità. Ogni sogno, ogni immagine ha un significato. Il fatto che sia più o meno interpretabile, non inficia il significato simbolico.
Il rapporto che ognuno di noi ha con il sogno, la sua fissazione nella memoria o l’oblio, è diverso da persona a persona e varia col tempo nello stesso individuo. Le possibilità sono tantissime. Si va dalla persona che non ricorda mai i sogni a quella che ne fa tantissimi nella stessa notte e li ricorda quasi tutti, così da sembrare continuamente immersa nel suo materiale onirico. Per avere un’idea di come funzioniamo rispetto alla memoria del sogno in relazione alle nostre strutture psichiche, vi propongo un esempio che come tale è limitato, ma credo indicativo.
Maria era una donna di 40anni con una personalità borderline. La sintomatologia che l’ha portata in terapia fin dalla prima seduta appariva importante e si configurava in un quadro di isteria. Il fatto di essere borderline è la conseguenza di un Io non sufficientemente strutturato e difeso. Maria era continuamente immersa nel suo inconscio. Non c’era separazione tra l’Io e l’inconscio e di conseguenza il mondo psichico diurno non era di fatto diverso da quello notturno.
Per anni Maria invase le sedute di sogni onirici. Dopo un lungo lavoro per tappe che qui non ha importanza, la paziente strutturava in maniera sufficiente un Io e passava da una fase borderline ad una nevrotica. A quel punto Maria ha cominciato a non ricordare più i sogni e per un lungo periodo di tempo abbiamo lavorato senza. Questi sono ritornati verso la fine dell’analisi e in essi, erano quasi del tutto scomparsi i messaggi tranferali su di me.
Credo che Maria insegni bene qual è il rapporto fra le nostre strutture psichiche e il sogno e soprattutto, confermi un concetto base di tutta la terapia psicodinamica: il sogno è parte, un reperto dell’inconscio.
Ritornando al sogno raccontato in seduta, è per me sempre suggestivo pensare che quel paziente, dall’ultima volta che l’ho visto, ha sognato per ore e ore, decine di ore di sogni e inconsciamente ha estrapolato una sogno che a volte è ben strutturato in un racconto, da sembrare la scenografia di un film ma, a volte, è solo un’immagine. Ora lo porta lì, in seduta. Vedo in questo una potenziale alleanza terapeutica. Il mio compito è quello di accogliere il sogno nella sua valenza relazionale. Sarà il contenuto che svelerà poi al paziente e a me in che modo è strutturata la coppia terapeutica e come si dovrà lavorare assieme per integrare le parti inconsce.
Ha ragione Jung. Non è possibile una interpretazione del sogno senza una partecipazione totale del terapeuta all’interno del setting dove il terapeuta ‘sente’ il sogno del paziente con tutto se stesso e nel contempo lo processa mentalmente rispetto al vissuto comune della coppia terapeutica.
Come diceva un mio professore: “una interpretazione del sogno al di fuori del setting terapeutico, è per lo meno inutile”.
Classificazione dei sogni
Jung al contrario di tanti altri cultori del sogno, non è mai stato molto interessato alla classificazione dei sogni, mantenendo una coerenza logica con il principio che il sogno è ‘l’impronta’ di tutto il Sé. Di fatto ogni classificazione limiterebbe e svilirebbe il valore altamente complesso del sogno. Come scriveva D. Bucelli “Nelle immagini dei sogni è presente una oscura sorgente, una tendenza, una forza e una numinosità che converge verso qualcosa che di per sé è irrappresentabile e che si lascia afferrare soltanto in maniera approssimativa”. Da: ‘Trattato di Psicologia Analitica”. (1992)
Il setting terapeutico e il sogno
Non esiste un setting terapeutico giusto a priori. Ogni terapeuta ha il suo setting e lo stesso terapeuta ha un setting diverso da paziente a paziente. Ciò nonostante, ogni terapeuta ha il suo stile terapeutico che deriva dall’esperienza, dalla formazione, dall’età, dalla sensibilità personale e da mille altre variabili. Vi sono però delle costanti che caratterizzano quel terapeuta e forse lo unificano o lo differenziano da altri colleghi. Una mia costante è quella di chiedere al paziente, fin dalla prima seduta, almeno due cose: “mi racconti qualcosa di bello” e “mi racconti un sogno”.
E’ palese la mia provocazione. L’aiuto ad uscire da corto circuiti mentali dove si vede e si racconta solo il proprio dolore. Cerco di trasmettere il messaggio che stare assieme non vuol dire solo soffrire e che ogni parte del Sé del paziente e da me accettata. Anche quella ‘sana’.
Lo invito, fin dalla prima seduta, a guardarsi dentro e il sogno è la via maestra.
Le risposte dei pazienti chiaramente sono diverse. Ognuno risponde in maniera diversa. Non è esclusa una certa sorpresa, qualche volta con chiari segni di irritazione. La risposta più classica, molto spesso con un tono giocoso è: “Cose belle? Allora me ne posso andare”. Ma poi, le cose belle arriveranno e capita spesso che il paziente tra una seduta e l’altra memorizzi un fatto positivo, un attimo di gioia e che alla seduta successiva sarà contento di condividere con me.
Alla richiesta di raccontare un sogno, le reazioni sono invece solitamente diverse. All’inizio è la stessa di quando il medico chiede: “si spogli”. Il paziente sente immediatamente che il sogno è la sua parte nascosta, raccontarlo significa “spogliarsi”.
Va da sé che in base alla risposta e a secondo di come questa si modulerà col tempo, pur tenendo sempre conto delle inevitabili resistenze, funzionerà o meno l’alleanza terapeutica.
Vale quello che disse un mio collega, medico generico, ad un paziente dopo avergli chiesto di spogliarsi, il paziente chiese: “Dottore, mi devo spogliare tutto?” il medico rispose: “Faccia quello che vuole, io visito quello che lei mi mostra”.
Dalla lettura del testo pubblicato ho capito che addentrarsi nelle viscere del cervello umano non è di facile comprensione anche per i più esperti studiosi del settore dove è racchiuso il mistero della vita umana.
È cosi ma, questa é la bellezza della vita.
Sto facendo un percorso che comprende l interpretazione dei sogni. Molto bello. Come mai a volte me li ricordo a distanza di molto tempo? Più che altro dei dettagli delle piccole parti, tipo un flash back…
Cmq bell articolo
Questo è l’inconscio: nulla viene perduto.