
Individuazione
Jung e l’ individuazione
Nella psicologia un po’ ‘prêt-à-porter’ alla quale, nel bene e nel male ci stiamo abituando, Jung è conosciuto per le sue geniali intuizioni sull’inconscio collettivo e la sincronicità. In realtà la ‘sostanza’ della sua psicoterapia è il processo di individuazione.
Per Jung, l’ individuazione è quello che ognuno di noi è chiamato a fare al fine di sviluppare la propria personalità individuale, e differenziarsi dagli altri, diventando unico.
Il processo di individuazione è il fine stesso dell’esistenza.
Per Jung però l’ individuazione, pur essendo una ‘via individuale’ che può portare a percorrere sentieri anche molto diversi dai consueti, deve sempre inserirsi e riconoscere le norme collettive. Non vi può essere una via di individuazione che abbia come meta finale, l’estraneazione o, peggio, la distruzione del tessuto sociale.
Scrive Jung: “Il concetto di individuazione ha nella nostra psicologia una parte tutt’altro che trascurabile. L’individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale.” Da: ‘Tipi psicologici’ 1920
Tappe psicologiche verso l’ individuazione
Per Jung, ognuno fino a circa 35 anni, è chiamato da un punto di vista psichico ad un impegno che occupa gran parte delle sue energie e consiste nell’impegno a conoscere, tenere a bada e utilizzare le proprie pulsioni psichiche. Diceva: “… Prima di potersi proporre come scopo l’individuazione, occorre raggiungere la meta educativa dell’adattamento al minimo di norme collettive, necessario per l’esistenza. ” Da: ‘Tipi psicologici’.
Quindi, a rischio di essere un po’ troppo sintetici, si può dire che lo scopo dalla prima parte della vita di ognuno di noi e di conseguenza di una eventuale psicoterapia, in questa fase della vita, è quello di diventare dei ‘bravi cittadini’ che vivono in maniera sufficientemente equilibrata le proprie pulsioni e che, se hanno avuto voglia e possibilità, hanno generato nuove vite.
Il processo di Individuazione arriva dopo questa fase di adattamento. E’ un processo che interessa la seconda parte della vita, una volta superate le tensioni pulsionali. Per Jung, l’ individuazione rimane comunque un compito specifico di alcuni individui.
Mario Trevi
Per la verità, questa idea che il processo di individuazione sia un appannaggio solo di pochi è obiettivamente in contraddizione con l’affermazione che lo scopo di ogni psicoterapia è la ricerca dell’individuazione. Infatti, lo scrittore e psicoanalista Mario Trevi denunciava in queste affermazioni “ una curvatura aristocratica nella concezione dell’ individuazione di Jung”, e aggiungeva in maniera un po’ più pragmatica “ …in realtà, in ogni momento dell’esistenza, la persona incontra problemi di adattamento e problemi di individuazione” Da: “ Individuazione e funzione simbolica” 1987 . Trevi successivamente spiegherà in maniera psicodinamica come è possibile questa continua integrazione tra il principio di adattamento e quello di individuazione affermando che “ l’adattamento è tappa e parte dell’ individuazione.”
Individuazione e formazione
Questa dialettica sulle tappe verso l’ individuazione potrebbe sembrare una questione un po’ teorica, “campata in aria” ma, in realtà, è esattamente quello che avviene in ogni processo educativo e formativo. Tutto il processo educativo dall’infanzia all’università, passa attraverso questo assioma: impara lo stato dell’arte e poi crea quello che sei capace. Prima vi deve essere un processo di adattamento o imitazione e solo dopo, farà seguito un processo di differenziazione e individuazione.
Un mio professore di chirurgia diceva: ‘Se volete diventare dei chirurghi dovete imparare la mia tecnica, fare i supini esecutori e poi, quando la mia tecnica sarà vostra, potrete ‘buttarla via’, dimenticarla e operare con la vostra”.
Ritornando alla questione “dei pochi” che percorrono il processo di individuazione, bisogna ammettere che almeno da un punto vista statistico, Jung aveva ragione. La maggior parte delle persone sembrano non avere alcuna voglia, o forse possibilità, di affrontare un processo che comporti fatica ed espone spesso il soggetto a rischi e ad attacchi da parte della comunità in cui vive.
Come sempre il Vangelo lo sapeva prima : “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Matteo 22,14
Per rimanere all’esempio dello studente che vuole diventare chirurgo, questo si potrebbe chiedere: “ ma chi me lo fa fare di andarmi a sperimentare con tecniche nuove quando ne ho imparato una, e, funziona bene?” Il processo di individuazione infatti espone il soggetto ad alcuni problemi. Il primo è lo scontro dialettico con la sua collettività che inevitabilmente prevede un distacco, con la necessità di vivere in uno stato di relativa solitudine. Dice Jung: “ L’individuazione è sempre più o meno in contrasto con le norme collettive, giacché essa è separazione e differenziazione dalla generalità…. “ Da ‘Tipi psicologici’.
Comunque, Jung aveva bene in mente che l’individuazione della persona non è in opposizione con la collettività. E’ evidente però che l’individuo che si differenzia sostanzialmente dalle norme dal suo gruppo sociale, non può nel contempo chiedere di avere l’appoggio di questo.
Trevi ha ragione quando parla di un processo di individuazione presente in ogni momento della nostra vita. Infatti, tutti noi siamo passati attraverso un periodo adolescenziale, dove vigevano le regole e il linguaggio del gruppo. A un certo punto sono scattati dei meccanismi che hanno portato qualcuno a “differenziarsi” dal gruppo, qualcuno che per questo poi è stato immediatamente isolato.
E’ un processo presente ad ogni livello: politico, culturale, sociale e anche religioso.
Le società di psicoanalitiche sono un esempio continuo di questo meccanismo.
Faccio una parentesi. Il fatto che in ogni società psicoanalitica vi sia una continua diaspora, qualsiasi sia l’indirizzo teorico, in mille rigagnoli, quasi individuali, dimostra che verosimilmente, da una parte, in ognuno di noi rimangono residui narcisistici. Nel contempo, è possibile, che in queste società, la spinta verso l’ individuazione sia molto forte. Speriamo!
Da un punto di vista teorico, non trovo alcuna differenza tra l’individuazione e la ‘vocazione’ religiosa. Vocazione è un termine che in ambito religioso significa “la scelta che si compie realizzando ‘la voce’ di Dio” ma che ha assunto poi, in maniera più generica, il significato di attrazione per una determinata attività o professione. In psicologia del lavoro, ad esempio, si distingue tra vocazione e attitudine. La vocazione, ha un carattere soggettivo, mentre l’attitudine è un carattere oggettivo. Va da sé che nell’individuato queste due caratteristiche, vocazione e attitudine, si sovrappongono.
Ma l’individuazione è anche l’equivalente del concetto orientale l’Illuminazione. Diceva Ramana Maharshi: “Illuminarsi allora cosa significa? Diventare coscienti di ciò che in realtà già siamo.”
L’ individuazione e la psicoterapia
Premesso che ci sono infiniti modi per arrivare all’ individuazione, la psicoterapia dovrebbe essere uno di questi. Si, ma quale psicoterapia?
Abbiamo visto che Jung distingue due tipi di psicoterapia. Una prima che ha lo scopo di aiutare il paziente a gestire le sue pulsioni, libido e aggressività , con l’inevitabile necessità di affrontare le difese dell’Io. Clinicamente questa prima psicoterapia non si differenzia sostanzialmente dalla psicoterapia freudiana. Una seconda per gli adulti che abbiano già sufficientemente elaborato le loro tematiche pulsionali. Essi affrontano tematiche trascendentali, intese come universali, che interessano tutto il genere umano, ad esempio: la bontà, la verità, la giustizia, la gioia, il dolore e la morte .
Se ci pensate, da un punto di vista dinamico, il soggetto passa da tematiche della prima analisi che ruotano attorno al suo ‘ombelico’, a tematiche, nella seconda analisi, dove la persona si chiede qual è il suo ruolo rispetto agli altri e il suo scopo nella vita.
E’ bellissimo in terapia quando il paziente evolve e riesce a spostare la sua attenzione affettiva dall’ Io al noi, dal suo ombelico, al mondo che lo circonda. Ci si accorge che tutta la sua capacità di percezione della realtà che lo circonda, si allarga e prende colore.
Nel piccolo teatro del setting analitico, il paziente che riempiva in maniera traboccante le sedute delle sue problematiche, trova spazio per guardarsi attorno. E’ facile che chieda, quasi con sorpresa: ma questo quadro o quella lampada, li ha appena messi? E magari sono lì da sempre, ma lui non li vedeva. Era troppo impegnato a guardare il suo ombelico.
Però, di fatto, in cosa consiste una analisi che tende all’individuazione del paziente?
Potrei usare le suggestive immagini alchemiche di Jung che parlava dell’analisi come un percorso di purificazione, come all’interno di un crogiuolo. Del dolore della croce come via per arrivare alla resurrezione. Della psicoterapia come l’inverno che precede la primavera, o, la larva, che prima di volare, deve stare un lungo periodo nel bozzolo. In realtà il mio lavoro è simile a quello del giardiniere.
Premesso che il terapeuta non ha niente da insegnare al paziente, né questo se ne farebbe alcunché dei suoi consigli, lo scopo della terapia è quello di fare appunto, quello che fa un giardiniere: dissodare la terra, togliere i sassi e permettere alla pianta di crescere.
Ogni pianta ha in sé il codice genetico e l’energia per crescere.
Così, come il giardiniere non potrà far nulla di più che permettere alla pianta di crescere, fiorire e poi dare i frutti che la natura ha stabilito, così il terapeuta deve fare con il paziente.
Alla fine, all’unisono diranno grazie.
Faró la tesi sull’individuazione, perché è un tema, o meglio, il tema che mi affascina da anni. Sento che mi stanno attirando a se concetti che cercano una forma moderna e una via d’applicazione piú concreta. Ringrazio Jung di tutto questo.
Buon Lavoro
Grazie !
Grazie a questa sua sintesi ho fatto luce su alcune domande che mi stavo ponendo….questo scritto é stato un anello di raccordo .Grazie a lei che mi ha fatto comprendere meglio il concetto e a Jung.
salve…scusi se le scrivo qui..nell ultimo anno ogni volta che ho roveto nella sezione domande e riso nn mi fa inviare la domanda, se vuole può riso x mail.
Praticamente sono una ragazza di 23 anni…ho iniziato una terapia junghiana a 16-17 ..x una forte depressione…da cui ne sono uscita..anche se molto trasformata e nn propriamente “sana”..ho avuto disturbi alimentari..fin dalle medie..e ne sono uscita…mi sentivo molto coinvolta e partecipe nell analisi..protagonista del cammino e molto in crescita in evoluzione…ma dopo 5 anni son successe delle brute cose…il mio analista mi ha detto che la mia identità , quella sviluppata con lui passo dopo passo..era fittizia…non ho preso la cosa in modo passivo, ma rielaborandola..e per certi versi poteva sembrarmi vero…cioè fittizia perché percepivo solo da introversa..e mi mancava una parte…era quindi distorta…e incompleta…tutto quel che avevan fatto crollava però..in più nel frattempo avevo iniziato a leggere molto…e ho scoperto 2 approcci, la terapia breve strategica e la logoterapia che criticavano, seppur lontanissime tra loro, entrambe l analisi…ho cominciato ad avere dubbi..perchè le critiche riportate mi sembravano avere un fondo di verità, almeno sentivo potessero essere possibili…in più ero in una fase di stallo col terapeuta..nn riusciva ad aiutarmi a capirmi..(probl con la scelta universitaria..ormai da anni)fino a quando sono scoppiata..come sapevo sarebbe successo, ma lui nn mi credeva…emi ha detto, è scoppiato il disturbo borderline…(so cos è)…avevo forti crisi…io da mesi sapevo sarei scoppiar alle scadenze se nn avessi risolto…ma lui nn mi credeva..e mi ha proposto 3 farmaci insieme..apprezzo la sua sincerità xk mi ha detto che servivano a sedar le crisi e nn ha risolv il probl(cosa che sapevo bene anche da me)io sono abbastanza restia..e ho capito che nn dovevo continuare lì…
da allora ho provato la breve strategica…l ho scelta accurata xk pensavo potesse aiutarmi, ho visto l efficacia..e avevo bis di recuperare tempo…dopo 2 sedute mi son accorta che nn era x me..estremamente distante dalla prima..nn dava spazio ne considerava il mio mondo interno..ma x evitare di iniziare e nn finire all infinito, sapendo che servivano 10 sedute per un feedback…e sapendo sarei potuta rimanere col dubbio di se avesse funzionato..son rimasta…subito sembrava avere effetto..forse anche xk avevo molte aspettative e fiducia(effetto placebo tipo)..ma dopo un po’ mi accorgevo che nn ero io, …sono peggiorata..ho passato 4 mesi di crisi, paura di impazzire, minaccia di suicidio..mi ha detto di chiamare il 118 se avevo crisi..cioè l ha detto ai mi..alla fine l ho chiamato io xk stavo troppo male…e alla fine ci siam lasciati entrambi…
da lì ho perso un po’ fiducia verso la disciplina .xk vedevo che sia il primo che il secondo erano bravi..appassionati del loro lavoro….
Gent.ma Signorina,
prendo atto della sua dolorosa esperienza ma non so cosa dirle, non la conosco e tanto meno i colleghi che l’hanno seguita. Una indicazione generale che va ben oltre lei e che non converrebbe cambiare il terapeuta quando c’è un “conflitto” in atto. Però, non voglio assolutamente entrare in merito alle sue scelte. Non ne ho i titoli.
scusi..nn ho avuto modo di terminare il mex. e non pensavo rispondesse subito
volevo solo aggiungere che dopo, ho chiesto al mio medico di base ,che mi ha suggerito uno psicodinamico…all inizio ho fatto difficoltà ad affidarmi, ma a differenza del primo analista nn mi trovavo per nulla bene..lui si sentiva criticato e stava molto sulla difensiva..in più nn mi sentivo minimamente compresa..rispetto al primo era molto chiuso mentalmente..quando ho provato ad affidarmi sono stata peggio..xk lui nn comprendeva il mio disagio di fondo che inevitabilmente si manifestava quando arrivavo al nocciolo delle cose…son peggiorata..e ho cambiato..ho cercato un terapeuta specializzato in disturbi di personalità, come il borderline(ormai conosco tutti gli approcci, principali diciamo..questa sarebbe la schema terapy, suggeritami da una sua collega)…io avrei preferito una psicodianmica x come son fatta..ma quando ho fatto dei colloqui conoscitivi con altri terapeuti..uno era troppo diverso dagli altri 2 e giovane..l altro era il supervisore, casualmente, del mio primo analista..e dopo 20 min che parlavamo mi ha detto che avrebbe iniziato subito affiancando dei farmaci..e che 2-3 anni, per via della mi storia clinica..nn sa se sarebbero bastati….io sono abbastanza restia ai farmaci.in passato li ho presi, bene…e nn hanno avuto alcun effetto a mio parere…li ho presi però…e quest ultimo nn mi avrebbe trattato se nn li avessi presi…anche lui era molto più chiuso mentalmente rispetto il mio primo analista…però il transfert era simile a quello del mio analista..era abbastanza anziano…x queste cose però nn l ho scelto..anche xk nn sapevo più,dopo le mie esperienze e conoscenze ,se fidarmi o meno dell analisi in generale..e così la vita ha scelto per me, e sono rimasta in schema terapy..che però al momento nn sta dando alcun frutto..e parecchie cose, come a meditazione ,ecc.di base è un congitivista-comportamentale..e nn credo faccia al caso mio.nn le trovo utili per me..perchè sono probl a livello interiore…praticamente da circa 3 mesi..la mia personalità è cambiata totalmente..ho perso la mia sensibilità, curiosità intellettuale che era molto forte, uno spirito di autonomia importante(non volevo farmi mantenere dai miei x via delle tante spese apportate loro, mi indignava, e questo mi spingeva ad essere autonoma.., la mia spiritualità ,il mio idealismo, volevo far l uni anche se nn sapevo quale, o dar un contributo imp alla società… ero vegana da 6 mesi e da altri 6 vegetariana per dirle..in modo sentito..nn mi forzavo ,nè lo facevo x moda…tutte cose che ho sempre avuto come punti fermi da anni nonostante l indecisione sulla scelta universitaria..per questo nn mi sentivo borderline…adesso per la prima volta da pochi mesi ho perso tutte queste caratteristiche..nn ho iù il desiderio di far nulla..studio-lavoro..nn son più curiosa ecc..ma nn sono depressa..sento la vita adulta pesarmi..cosa che nn avevo mai sentito. anche per via dei miei interessi e importante idealismo…..le ho scritto tutto questo per darle un po’ un quadro della situazione…e per dirle che un pensiero che ho è di tornare dal mio prmo analista, nessuno mi conosce bene come lui..e al di fuori di quel seting nn ho trovato la stessa comprensione..la mia identit nelle terapie, dopo la breve strategica, credo sia andata sempre più sfaldandosi, perchè i terapeuti mettevano in discussione il mio percorso analitico in maniera imp..per un bel po’ nn l ho lasciato intaccare xk sapevo essere autentico..e che potevo semplicem integrare tramite altri approcci, ma dopo che il breve strategico ha fallito..e che parecchie cose erano in contrasto, nn integrabili per definizione…quel percorso e quella figura, la mia identità..hanno cominciato a vacillare…..
ero più forte e stavo meglio prima di tutto questo iter..xk ho perso le mie poche certezze nel tempo, e nell affidarmi(quando nn ero capita) mi son trasformata, allontanata da me a volte..o confusa…io le chiedo se secondo lei, potrebbe essere una buona idea TORNARE DAL MIO PRIMO ANALISTA.dopo che gli altri colleghi nn mi han parlato troppo bene di alcune cose , di come vivevo quella terapia..dicono tipo che la idealizzavo..ma nn era così per me..avevo superato quel momento grazie a una profonda comprensione in analisi…e DOPO ESSERNE USCITA COSì dopo 6 anni…. ho paura ci potesse essere una forma di dipendenza..ma a quanto pare l affidarsi in qualche modo implica una forma di dipendenza..potrei parlarne con lui, ma lo conosco. mi direbbe di no…è molto onesto dal punto di vista intellettuale e aperto, per questo l ho sempre apprezzato, ma ho paura possa nn vedere la cosa se c è..perchè gli altri terapeuti vedevano questa relazione molto molto incisiva su di me…stretta…e io nn so , sulla base dei fatto, se fidarmi ancora pienamente di lui..la mia vita sta passando,…io sto perdendo tempo…credo che la mia sia una forma di nevrosi adesso..l ultima volta che l ho visto mi ha detto che i pz border hanno queste fasi di appiattimento..ma questa sarebbe la prima per me, a 23 anni…nn ne ho mai avute così, nn mi sento depressa(xk nn mi svaluto e nn provo senso di colpa)..non ho mai avuto fasi così lunghe senza crisi in mezzo, e nn credo di essere border per le cose che le ho scritto..ho anche studiato su un saggio accademico all avanguardia qsta patologia e nn mi ci trovo..prima un po’ si credo.ma adesso no..in più da come mene ha parlato lui…sarebbe una cosa che subisco..che succede, che nn posso comandare…mi avrebbe solo resa consapevole di questa cosa…ma io come faccio a lavorarci se nn ho alcun potere sulla cosa? se nn dipende da me? ho provato a tornare come prima co la volontà , ma nn riesco(lo immaginavo)…l ultimo terapeuta di schema terapy mi ha dato da fare un es x 15 gg..io ero un po’ scettica xk nn mi sentivo depressa..ciè tornare a fare “come se ” avessi voluto o dovuto dar l esame…l ho fatto cmq.. ma nn ha funzionato ..io sento un cambiamento di personalità…un probl dove prima ero introversa e adesso estroversa..nn sento più il mio mondo interiore..prima percepivo solo quello e tramite quello..ed è come se le mie funzioni abbinao cambiato di ordine..la sensazione era quella inferiore per me..e adesso credo sia la prima..per dirle..ho letto anche un pezzo di tipi psicologici di Jung,,in cui descrive le diverse personalità…esattamente..io sento un cambiamento di quel tipo..già prima di leggerlo mene ero accorta e avevo fatto questa ipotesi
io son sempre stata indegnata dal farmi mantenere dai miei…abbastanza futurista, innovativa nei progetti o iniziative che intraprendevo..anche solo..come cercare lavoro..in modo diverso da alcune mie amiche..molto più intelligente e mirato..infatti ho fatto centro subito all epoca..adesso nn sento più quella personalità..come mancanza di voglia…e mi sto omologando alla mia famiglia..cosa da cui sono sempre stata molto distante e autonoma dal punto di vista del pensiero , idee. concezione della vita ecc
scusi la lunghezza
le chiedo cosa pensa della domanda ..e se ha altro da suggerirmi..grazie
ho paura che la relazione , l incastro tra me e il mio prima analista nn fosse troppo sano se ne sono uscita così..e le garantisco che i primi 5 anni ero molto coinvolta e mi sentivo evolvere..credo fosse una delle cose, se nn la più imp della mia vita per la mia maturazione..mi sono impegnata molto… si era creato un legame imp..e per i problemi passati e perché sono cresciuta con lui..e abbian toccato temi molto delicati per me…vivevo dei cambiamenti importanti
6 anni nn saranno 10, ma sono comunque parecchi…e io ora mi sento come se avessi perso tutto..da un paio di mesi nn sento più niente della mia identità precedente…tutte le cose più importanti..un po’ ne ho perse anche in analisi..mi ha smontata diciamo..avevo delle certezze, poche su di me..che mi guidavano..e mele ha tolte..così mi sono persa…però adesso così nel tempo..ho perso tratti imp della mia personalità, tutto quello che avevo…
e in questo stato nn sarei autonoma in nulla, economicamente, nel pensiero e nei sentimenti(che erano miei punti forti, almeno , per i sentimenti..nella capacità di esprimerli)..credo che un po’ sia dovuto alla crescita..forse è normale..ma io così nn sono più niente.. e nn potrei vivere..anche tutta la mia parte spirituale e volta alla collettività,che mi dava la benzina..nn la sento più
Mi scusi Signorina,
le confesso che dopo il primo stralcio del suo racconto a cui ho risposto, non l’ho più letta. Qui non facciamo terapia e neanche letteratura, è un blog dove si fanno delle domande e si pongono delle precisazioni, ma, stop. Per correttezza ho pubblicato tutto quello che lei mi ha mandato, è chiaro che deve finire qui.
ok,ho provato nella sezione domande ma nn me le invia.. le ho raccontato di una difficoltà nelle terapie successive alla prima..riguardo la domanda finale, se dopo quel che è successo col mio primo terapeuta, secondo lei potrebbe essere sano o meno tornare da lui…su questo posso avere un parere? anche privatamente?
comunque si..mi fermo qui
grazie
grazie
É evidente che essendo rari i bravi Junghiani e molto meno quelli mediocri ci vuole fortuna nell’affidarsi al primo medico che si trova. Personalmente ne ho trovato uno in gamba su cinque mediocri, ma questo diversi anni fa, oggi faccio da me, spendo meno e sto molto meglio.
Salve dottore, ho letto a un certo punto del suo discorso, che lei dice, ‘ci sono infiniti modi per praticare l’individuazione’. Posso chiederle cosa intendeva nello specifico? Io sto cercando di capire cosa voglio fare nella mia vita e sono giovane (26 anni). Ma a quanto leggo poi da quello che scrive citando jung, forse confondo il termine individuazione, con qualcos’altro, pensavo infatti che fosse più un cammino che si può fare a tutte le età e non solo più avanti con gli anni. Grazie
Gent.mo Marco,
la strada, la nostra strada che percorriamo verso l’individuazione, cioè essere se stessi, raggiungere quell’armonia tra il mondo che ci circonda e noi stessi, sentendo che utilizziamo il più possibile le nostre potenzialità, è lunga e tortuosa. Ma soprattutto individuale.
Certo, ci possiamo servire di strutture, agenzie esterne. Utilizzare ciò che persone che ci hanno preceduto ci danno come esperienza. Immergerci nella bellezza dell’arte, lasciarci cullare dalla musica, sviluppare il nostro pensiero nella filosofia o sprofondare nel nostro inconscio con l’analisi o sperimentare il vuoto nell’incontro con Dio ma, poi, c’è il viottolo stretto e ripido che porta verso se stessi. E lì, si è soli.
La distinzione fra una analisi fatta in giovane eta e una dopo i 40, 45 anni è in realtà una distinzione più teorica che reale. Si rifà un po’ a quello che aveva scritto Jung, dove appunto lui pensava che nella prima parte della vita, l’uomo/donna fa i conti soprattutto con le sue pulsioni: la libido e l’aggressività. Poi, sedate un po’ quelle pulsioni può dedicarsi più efficacemente allo “spirito”.
La distinzione dei due momenti, non era per la verità una originalità di Jung. Lui scrive che l’aveva dedotta guardando proprio i templi orientali. Fuori dal tempio si vedevano immagini del Kamasutra e poi si poteva entrare.
Qual è era il messaggio? Acquieta le tue pulsioni e poi, accostati a Dio.
Salve, l’Individuazione è per me un buon solco da seguire per comprendere la necessità di unione delle parti confuse in noi. Ed è un percorso, così come trasmesso da Jung, che ben giunge alle orecchie della personalità occidentale.
Vorrei però gettare luce su di un aspetto. Da bambino percepivo a portata di mano il conscio, l’inconscio, il Se. Percepivo l’io come il cocchiere: come un mobile contenitore/interprete delle porzioni o dei totali delle tre parti. Certamente, le pulsioni inconsce e l’ebrezza di esserne il pilota (l’io), mi distoglievano dall’albergare nel Se.., tuttavia, ne conoscevo l’orma e l’emanazione. Arrivando al punto di domanda, sono dell’idea che ci sia una range di età nei bambini in cui il Se è riconoscibile. Pertanto gentile dottore Zambello, pur volendo lasciare la tortuosa strada della individuazione ai quaranta anni, non trova sia giusto ricavare una nicchia nella coscienza dei bambini -dagli 8 ai 14 anni di età- in cui depositare la loro personale reminiscenza del Se? Su questa idea istituirei una materia scolastica con il compito di fornire ai bambini una chiave per leggere correttamente le parti del loro universo interiore, la psiche.
La Materia si chiamerebbe Reminiscenza, e avrebbe l’obiettivo di conferire ai bambini calma, riflessività, maggiore ascolto interiore ed esteriore, migliore giudizio ed interpretazione degli impulsi.
Buongiorno, pensa che il Libro Rosso di Jung possa essere d’aiuto per capire il processo d’individuazione? Può suggerire un libro per apprendere la tecnica dell’immaginazione attiva?
Saluti e grazie
Penso che il Libro Rosso di Jung mostri alcune tappe della sua strada verso l’individuazione. La strada di Jung. Non a caso lui non voleva che fosse pubblicato. Non voleva, al contrario di Freud, nascesse una scuola che seguisse la sua esperienza, ciò che lui aveva capito, sperimentato. Mi collego alla sua seconda domanda; credo poco alle tecniche insegnate per creare. La “creazione ” è frutto della “follia” individuale.