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La relazione psicoterapeutica: nevrosi o atto creativo?

10/03/2016 da zambello Leave a Comment

La relazione psicoterapeutica

La relazione psicoterapeutica

Come si crea la relazione  psicoterapeutica

La relazione psicoterapeutica, in psicoterapia dinamica, si basa su un meccanismo psicologico presente in tutti noi: il transfert. Per capire cosa intendesse  Jung per  meccanismo transferale come   base e strumento per la terapia, dobbiamo ricordare quanto fosse per lui fondamentale la relazione psicoterapeutica non solo come  cura del paziente, ma come strumento per la comprensione dei meccanismi psichici. Nella  sua biografia  affermava  che  la propria vita e la propria opera avevano avuto un unico fine: “penetrare nel segreto della personalità”. Da: ‘Ricordi, Sogni, Riflessioni’ (1961).

Jung e la morte

Scriverà poi, un anno prima di morire, in una lettera privata: “Il mistero vivente dell’esistenza è racchiuso tra i Due (paziente-terapeuta), ed è il vero mistero che non può essere tradito  dalle parole o esaurito dalle argomentazioni”.  E’ chiaro che il luogo dove fosse possibile questo disvelamento della personalità, era per lui  la relazione psicoterapeutica. Il compito del  terapeuta non è quello di dare una lettura asettica di ciò che il paziente porta  ma,  di rendere possibile  un momento maieutico che tenda a trovare la strada per un processo di individuazione.  Per Jung, come già per Freud, nella relazione psicoterapeutica,  la sofferenza del paziente che pervade lo spazio terapeutico,  non è riferibile ad un male organico ma psichico,  direi ‘dell’anima’. Nella relazione, il disagio del paziente  viene accolto, ‘curato’ in una situazione nuova, sui generis che vede come attori paziente e terapeuta,  ambedue capaci di  mettere in gioco le parti parti più profonde della psiche.

Aldo Carotenuto scriveva che la relazione psicoterapeutica “diventa progetto, non è più solo il ripristino di un equilibrio alterato o la soppressione di un sintomo, ma nel senso più alto e completo è un disegno di mutamento, un impegno verso la trasformazione che terapeuta e paziente intraprendono insieme, lasciando che le loro esistenze si incrocino e si influenzino reciprocamente per un tratto di strada”. Da: ‘Trattato di Psicologia Analitica’  (1992)

Il transfert nella relazione psicoterapeutica

Scriveva Freud nella sua ‘Autobiografia’: “Un bel giorno ebbi la prova lampante che quel che sospettavo da molto tempo corrispondeva a verità: una delle mie pazienti più docili, con la quale avevo ottenuto in ipnosi risultati davvero splendidi, un giorno in cui la liberai della sua sofferenza riportando l’attacco doloroso ai motivi che l’avevano provocato, svegliandosi dal sonno ipnotico mi gettò le braccia al collo. L’entrata inaspettata di una domestica ci risparmiò una chiarificazione che sarebbe stata penosa, ma da quel momento in avanti rinunciammo, per un tacito accordo, alla prosecuzione del trattamento ipnotico. Avevo buon senso a sufficienza per non attribuire questo evento alla mia personale irresistibilità e reputai dunque di aver finalmente capito quale fosse la natura dell’elemento mistico che agiva al di là dell’ipnosi; per eliminarlo, o quanto meno isolarlo, bisognava che rinunciassi all’ipnosi.” Opere 10 (Bollati e Boringhieri) pag. 95.

Partenza della relazione psicoterapeutica

Freud spiegherà l’accaduto sostenendo di essere stato vissuto dalla donna come ‘il suo primo amore del periodo adolescenziale’ e che la paziente avesse inconsciamente  trasferito su di lui quell’amore provato. Ma come scrive Andrew Samuels in ‘Manuale di Psicologia Junghiana’ (2009),  in questo episodio autobiografico di Freud, è interessante notare non solo il punto di partenza della relazione psicoterapeutica,  la lettura del transfert, ma quale sia stato poi il controtransfert messo in atto da Freud. E’ proprio quella  ‘chiarificazione penosa’ tra il terapeuta e la paziente che rivela quale sia stata la vera genesi delle indicazioni che Freud diede in seguito ai suoi allievi sulla gestione del transfert. Egli temeva, proprio perché la psicoanalisi aveva avuto origini dall’ipnotismo, che nel lavoro clinico potesse prevalere  la suggestione. Tutto questo lo portò  a teorizzare una relazione psicoterapeutica caratterizzata da ‘neutralità’, ‘astinenza’ e dallo ‘schermo bianco’.

Freud ipotizza il transfert

Freud dopo l’episodio riportato con la ragazza che lo abbraccia alla fine della  seduta di ipnosi, elaborò molto lentamente il concetto di transfert. Egli riteneva che nella relazione psicoterapeutica il paziente ‘proiettasse’ inconsciamente sull’analista i propri conflitti intrapsichici che a loro volta erano residui delle relazioni reali o fantasmatiche che il paziente aveva vissuto nell’infanzia. Scriveva Freud: “È’ dunque normalissimo e comprensibile che l’investimento libidico, parzialmente insoddisfatto, tenuto in serbo con grande aspettativa dall’individuo, si rivolga anche alla persona del medico. In conformità con le nostre premesse, questo investimento si atterrà a certi modelli, procederà da uno dei clichés esistenti nella persona interessata, oppure, in altri termini, inserirà il medico in una delle ‘serie’ psichiche che il paziente ha formato fino a quel momento“.  Da ‘Tecnica della Psicoanalisi’ (1911-1912). Ne consegue,  la preziosità del materiale riprodotto dal paziente,  tramite il transfert, che interpretato, rivela quali siano stati i vissuti soggettivi del paziente da una parte. D’altra,    “la pericolosità libidica” del materiale transferale che richiede, secondo Freud,  un atteggiamento distaccato e protetto del terapeuta.

Jung e la relazione psicoterapeutica.

Inizialmente anche per Jung,  il transfert tra paziente e psicoterapeuta è l’alfa e l’omega della terapia ma, ben presto, il concetto di transfert subisce sostanziali modifiche all’interno del suo modello terapeutico. Jung si staccherà  concettualmente da Freud è proporrà la relazione psicoterapeutica come un modello circolare, entro il quale, analista e paziente devono mettere in gioco tutta la loro personalità. E’  Il processo alchemico  ciò che meglio rappresenta la relazione psicoterapeutica. Nel 1946 Jung pubblica il suo libro ‘La Psicologia della Traslazione’ ove si serve delle immagini del Rosarium philosophorum (Un testo alchemico del XIII secolo, attribuito ad Arnaldo da Villanova (1235-1315), medico e alchimista) per descrivere in maniera metaforica la relazione psicoterapeutica.

L’ Alchimia per Jung

Egli sceglie l’alchimia come la miglior metafora per analizzare le fasi del processo psicoterapeutico. Jung infatti pensava che l’alchimia, considerata metaforicamente,  fosse stata una precorritrice dello studio dell’inconscio. Ricordiamo infatti  che gli alchimisti avevano come primo scopo quello di creare, da elementi di scarso valore, qualcosa di prezioso (oro o pietra filosofale).  Il secondo scopo era quello di trasformare la materia vile in spirito, liberando l’anima dalla sua prigione materiale. Sono gli stessi intenti   di una relazione psicoterapeutica.

Il terapeuta

L’immagine  del terapeuta,  come un alchimista, pur nella similitudine metaforica, ha una potenza enorme con una serie di ricadute anche teoriche  sul concetto di transfert ma più ancora, come vedremo, sul concetto  di controtransfert.

Il terapeuta non è più un essere ‘distaccato’ che valuta e interpreta, ma uno che vive, immerso nel rapporto. Il fattore relazionale era essenziale nel processo alchemico. L’alchimista (solitamente una figura maschile), lavorava sempre assieme ad un’altra persona. Non c’era  un alchimista che lavorasse da solo, come d’altro canto, non esiste un terapeuta senza  paziente. E’ così vero  che, quando nel laboratorio alchemico veniva a mancare l’altro, l’alchimista immaginava un altro chiamandolo ‘soror mystica’, sorella mistica. E’ come dire che l’alchimista per portare in porto  la sua opera, necessitasse  di un ‘altro’, di  una relazione.

La relazione psicoterapeutica è il luogo e la cura.

Controtransfert e relazione psicoterapeutica.

Il controtransfert, detto anche controtraslazione, indica il vissuto emotivo del terapeuta nei confronti del paziente. Detto vissuto era considerato da Freud un elemento di ostacolo nella progressione della terapia, poiché invalidava quell’atteggiamento di impassibilità e di distacco emotivo che egli raccomandava nella cosiddetta regola dello specchio: “Il medico dev’essere opaco per l’analizzato e, come una lastra di specchio mostrargli ciò che gli viene mostrato”. Da: ‘Tecnica della Psicoanalisi’ (1911-1912)

Jung partendo dal concetto che la relazione psicoterapeutica è la cura, ritiene che il controtranfert non solo non è eliminabile ma indispensabilmente  parte della terapia stessa. Egli scriveva: “Non giova affatto a chi cura difendersi dall’influsso del paziente, avvolgendosi in una nube di autorità paternalistico-professionale: così facendo egli rinuncia a servirsi di un organo essenziale di conoscenza”. Da:  ‘I problemi della Psicoterapia moderna’ (1929)  Il controtansfert nella relazione psicoterapeutica non va respinto ma controllato. La stessa attenzione che deve avere il padre quando si rapporta col figlio giocando con lui. La relazione  prevede una presenza reale dei due, ma contemporaneamente il padre deve controllare ciò che sta avvenendo per salvaguardare il figlio e se stesso. Padre e figlio, trovano nella relazione l’aggancio per crescere. Ambedue crescono,  il figlio diventa più ‘forte’ grazie al padre vicino a sé e il padre sempre più consapevole del suo ruolo.

Relazione psicoterapeutica

Nel proseguo della relazione psicoterapeutica, il terapeuta mette in gioco la sua visione delle cose del mondo, egli rivela la sua anima. E’ evidente che tale esposizione richiede al terapeuta una specifica formazione e una capacità di leggersi dentro, ma soprattutto che egli abbia un atteggiamento etico e onesto e creda in ciò che fa.

La relazione psicoterapeutica non può non approdare a quello che Hillman definisce ‘mistero’. Egli scrive: “La parola ‘mistero’ viene dal greco ‘myein’, che è usata sia per la chiusura dei petali di un fiore, sia per quella delle palpebre. È un naturale movimento di occultamento, che mostra la pietà della vergogna di fronte al mistero della vita, metà della quale ha luogo nell’oscurità”. Da: ‘Il suicidio e l’anima’ (1964).

E’ questo senso del limite, del precario, ma anche dell’infinito che si dispiega nell’anima,  che mette in relazione il terapeuta e il paziente e che aiuta entrambi ad evitare fantasie onnipotenti, narcisistiche e un inutile dogmatismo.

E’ la consapevolezza del mistero che dà un senso etico alla relazione.

Di Renzo Zambello

Di Renzo Zambello il libro: “Ricordi e riflessioni di uno psicoanalista”. Ed. Kimerik

Renzo Zambello

Video, Psicoterapia quale? Del Dott. Zambello

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