La telepatia, il linguaggio dell’anima.

La telepatia
La telepatia

La telepatia: un linguaggio psicoterapeutico

Non ricordo più se ero al mio settimo o ottavo anno di analisi personale con il Dottor Pauletta, freudiano ortodosso  di cui porto un ricordo di profonda riconoscenza, quando feci un sogno che si rivelò per me determinante. Stimavo il mio terapeuta,  avevo instaurato con lui un rapporto molto intenso ma,  come tutti i veri rapporti, anche il mio aveva le sue crespe. Pauletta, da buon freudiano    non vedeva  in me  niente che non fosse  riconducibile ad una visione laica e pulsionale. Così un giorno arrivai con un sogno che,  chiaramente io non capivo.

  • Avevo sognato che ero uno studente  al quinto anno di medicina e andavo a fare l’esame di Clinica Chirurgica in un ospedale  immerso in un bosco,  dove il professore che mi interrogava era un frate. Durante l’interrogazione mi ritrovo a fare l’esame  con una compagna più giovane di me. Il professore mi chiese di parlargli delle ernie crurali. Iniziai a parlare e lui ni interruppe quasi subito e chiese alla mia collega di continuare. Questa non sapeva molto e così il professore mi fece finire. Poi rimase zitto un attimo e disse, andate, vi do 28 a tutti e due. Finisce il sogno.

Lo raccontai a Pauletta, lui si schiarì la voce e mi chiese cosa mi veniva in mente. Io lo collegai  al vissuto reale, in quel momento ero già medico e chiaramente avevo fatto l’esame di Clinica Chirurgica ma, stop, il resto era oscuro.

E lui: “… insomma, è vero che lei si sente mio figlio”.

Io: “ ma perché, dove  vede questo,  nel sogno?”

Pauletta: “ Fra due giorni porterò mia figlia di 11 anni, in una clinica gestita da frati per farla operare di un’ernia crurale”.

Io non sapevo neanche che il Dottor Pauletta avesse una figlia né tanto meno potevo sapere che questa avesse un’ernia crurale che peraltro è un evento abbastanza strano in una ragazzina. L’interpretazione di Pauletta a quel punto diventò chiara e coerente col sogno: io ero il fratello maggiore di quella ragazzina quindi,  suo figlio.

Pauletta aveva ragione mi sentivo suo figlio ma lui era cieco,  non volle vedere e prendere atto che c’era in me un mondo che andava oltre le sue  categorie pulsionali.

Gli avevo portato un sogno che  era stato possibile perché percorrevo   una via che lui ancora negava: la telepatia. Comunicavo con lui, seguendo strade che andavano oltre il mio inconscio personale. Nel mio inconscio non c’era  sua figlia, né avrei potuto leggere nella sua imperturbabile plombe la  preoccupazione che provava per lei. Ma ora, a distanza di tanti anni,  riconosco come il mio inconscio mi abbia aiutato con quel sogno non solo a dire a Pauletta  un sincero  grazie , tu sei mio padre ma,  soprattutto a spingermi, se pur con dolore a capire che ero diverso da lui e  che dovevo seguire la mia strada.

Non molto dopo infatti, decisi di interrompere la terapia e andare a cercare di realizzare la mia vocazione che si delineava sempre più nella volontà di fare lo psicoanalista ma con una visione diversa dell’uomo da quella di Pauletta. Jung mi sembrava rispondesse molto ai miei bisogni. L’ho già detto altrove, sono tardo, un po’ lento e così la strada di formazione junghiana iniziò da quel distacco ma si prolungò ancora per viottoli tortuosi per altri 16 anni.

Se guardo ora a distanza di tempo,  ciò che è accaduto mi viene da sorridere  e vedo, mi si perdoni l’azzardo che se è vero che mi sentivo figlio di Pauletta così da entrargli dentro con la telepatia, un po’ come fanno i bambini con i genitori che ti leggono dentro, poi,  in seguito ho emulato Jung che si distaccava da Freud  rivivendone quasi la stessa sofferenza e travaglio e,  per ben 16 anni, come lui.

Ho raccontato questo sogno non tanto per mettere in evidenza le differenze teoriche tra una impostazione freudiana da quella junghiana ma per evidenziare questo grande dono, mezzo che abbiamo, che utilizziamo tutti: la telepatia.

Devo dire subito una cosa, così da sgomberare il campo immediatamente da incomprensioni: non penso che l’analisi freudiana sia una analisi che si snoda su una struttura illuministica mentre gli Junghiani nuotano nel magma dello spiritismo e del magico. La scuola Junghiana che conosco, l’AIPA e i due analisti che mi hanno seguito nella mia formazione personale  erano più “freudiani dei freudiani”. Ricordo di aver portato decine di sogni dove gli elementi archetipici erano evidenti ma loro rimanevano spettatori scettici. Solo le letture di Jung,  i suoi libri quali:  “Pratica della psicoterapia”, “ Il libro rosso” ma soprattutto: “Ricordi sogni riflessioni”  mi convincevano che quella era la mia strada.  E forse,  anche questo loro scetticismo rispetto al mio interesse per la telepatia e per tutte le discipline che vengono malamente etichettate nel campo del  paranormale  di fatto mi hanno ulteriormente spinto a differenziarmi. Infatti,  anche a loro dico grazie.

La telepatia.

Trovo sinceramente assurdo che in una professione come la mia, la psicoterapia che si pone già per definizione in una sfera oltre la scienza, la telepatia venga  non solo vista con sospetto ma spesso catalogata come imbroglio o deviazione scientifica.  Il medico pratica un’arte, non una scienza. Si diano pace gli scienziati che la operano: la maggior parte dei farmaci che usiamo non sappiamo neanche perché funzionino  e molti sono stati messi in commercio per guarire un sintomo ma oggi li usiamo per i suoi effetti collaterali. Sappiamo poco, niente del cervello, poco del DNA e per la maggior parte  delle malattie ne conosciamo, ne descriviamo  l’epifenomeno ma non sappiamo niente o quasi delle cause. Ma forse è giusto che sia così. Siamo immensamente più grandi e complicati di ogni paradigma da noi pensabile. Se è vero che il  medico si sente frustrato per la sua pochezza, dovrebbe  vivere e gioire  della grandezza della natura che legge ogni giorno.

Proprio noi psicoanalisti che ci rivolgiamo  e trattiamo una dimensione dell’uomo che non è sperimentabile, la psiche, l’anima, indietreggiamo, se non li neghiamo,  fenomeni  come la telepatia che in realtà  sono parte della struttura di cui ci interessiamo: l’anima. Scusate, ma come comunica una mamma al suo bambino, nei primi anni? Con la telepatia. E’ un flusso continuo di pensieri ed emozioni  da madre a figlio e viceversa. Parola e telepatia  si integrano  portando la mamma a conoscere il figlio ed il figlio la madre.

Ma è la stessa cosa che avviene in una coppia di fidanzati, soprattutto nella prima fase, li dove le difese dell’Io sono cadute e i due si fondono in un continuo abbraccio fisico e mentale. Comunicano quasi esclusivamente con la telepatia. Se uno registrasse i discorsi di due innamorati, sentirebbe un discorso apparentemente senza senso.  Inconsapevolmente  i due alternano di continuo un detto e non detto che viene sostituito  dal linguaggio telepatico.

E così pure il linguaggio psicoterapeutico. Perché la psicoterapia  funzioni deve crearsi  quella dimensione che  Jung  descrisse servendosi della metafora alchemica: la terapia come un crogiuolo dove paziente e terapeuta stanno assieme in una dimensione che richiama le “nozze mistiche”.

Paziente e terapeuta uniti, fusi nel crogiolo terapeutico comunicano, come la madre col bambino o l’amante con l’amata, attraverso il linguaggio dell’anima, la telepatia. Il resto è rumore.

di Renzo Zambello

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8 commenti

  1. Un giorno sentii che mi stava chiamando, e dovevo fare in fretta, o non ci sarebbe più tempo. Convinsi la persona con me, seppur incredula, e ci recammo da lui, ed era in fin di vita.
    Inizia così la storia di comunicazione ”da anima a anima ‘ tra me e Bach, che dopo quel giorno mi ha donato anche l’aver osservato una sua guarigione spontanea improvvisa,.
    Non un’eccezione, Lui era un cane, uno degli animali con cui comunico così , e ciò è la norma . Lo sarebbe anche per noi e tra noi se non avessimo relegato l’inconscio in cantina e avessimo scordato l’anima.
    Questa è la categoria della sincronicità , una vera e propria categoria di cui ognuno di noi potrebbe osservarne i fenomeni, affianco a quella dello spazio- tempo che appartiene alla sfera razionale dell’io, della mente, che abbiamo preso a modello, ad unico dio, e per cii pensiamo tristemente che la realtà funzioni così , ma questo non è vero.
    La sincronicità prendiamola proprio come categoria quindi fatta di ciò che chiamiamo telepatia, sogni premonitori, fenomeni per cui se penso al merlo nel mio giardino questo mi sfreccia in volo accanto , per cui prendo in mano il telefono un minuto prima che squilli quando mi sta per chiamare l’ amato ecc ecc
    La vita senza questo per me non sarebbe tale, e non è vero neanche che sia così discontinua , se si abbracciano l’Anima e lo Spirito.
    Un abbraccio anche a Lei,
    Robi

  2. Mi sfugge il motivo per cui occorrerebbe definire la sintonizzazione affettiva tra madre e bambino (fenomeno studiatissimo, sia in psicologia che nelle neuroscienze) col termine “telepatia”, il quale rimanda alle pseudoscienze e a discipline che non c’entrano nulla con la psicologia e la psicoterapia. Lo trovo inutile, dannoso e fuorviante. Poi però non ci stupiamo se la gente paragona il nostro mestiere a quello degli stregoni.

  3. COndivido quello che ha scritto e non posso fare a meno di pensare che molte volte si e’ in balia di psichiatri psicoterapeuti inconpetenti.

  4. Caro Collega Andrea,
    fu RENÈ SPITZ psicoanalista nato in Austria ma naturalizzato in America che, attraverso l’osservazione diretta dell’interazione madre-bambino scriveva già anni ’50. “Una sensibilità quasi telepatica a sostegno della relazione, un così alto grado di disparità tra due individui tanto strettamente associati e interdipendenti non riscontrabile altrove nella nostra organizzazione sociale”. Lo stesso M. RUTTER , 1973 descriveva il rapporto madre bambino come un rapporto che aveva modalità particolari e se anche non la chiamava telepatia il senso era chiaro.”Contribuisce a chiarire ulteriormente il concetto che il bambino, anche piccolissimo, soprattutto attraverso i movimenti del corpo, il sorriso, le grida, interagisce attivamente e comunica con l’adulto, influenzandone il comportamento. Il neonato ed il bambino piccolo utilizzano a questo scopo l’aspetto non verbale della comunicazione (definito aspetto di “relazione”), quello cioè che attraverso il clima reciproco dei sentimenti comunicati mediante i gesti, la tonalità della voce, la posizione del corpo, esprime e definisce le caratteristiche della relazione che si sta intrattenendo.”

    Comunque, da tempo ho smesso di interessarmi di “quello che gli altri pensano”. Il mio desiderio è fare e dire quello che credo, il mio scopo è di cercare, senza schemi preconcetti. La assicuro che il mondo della psicoterapiajunghiana, è così distante dal mondo di chi si confonde nella magia che non teme di guardarla e in alcuni casi anche interessarsi ad essa. E’ questo lo scopo di chi fa la nostra professione: cercare di capire ma, senza paletti ideologici o sicurezze fideistiche. Non a caso, fu proprio Jung che mise come condizione per poter praticare la psicoanalisi, l’obbligo di fare come formazione personale due analisi più la ricerca teorica e clinica. Così che ogni analista ha alle spalle almeno dodici, quindici anni di formazione. Capisco che ci sono colleghi che dopo 4 anni di una scuola frequentata alcune volte al mese o poco più, fanno questo mestiere ma, si rivolga altrove.

  5. René Spitz diceva, appunto, “una sensibilità quasi telepatica”… QUASI, come dire c’è tanta sintonizzazione che sembrerebbe telepatia. Spitz, giustamente, si guarda bene dall’insistere sul termine “telepatia”, che nulla c’entra con la psicologia. Siamo quindi in un’area semanticamente molto differente dal contenuto di questo articolo, che richiama a sfere quasi paranormali. E la citazione di Rutter credo lei l’abbia letta in maniera molto personale. Anche lui definisce un concetto perfettamente in linea con l’odierna concezione della sintonizzazione madre-bambino. Basta leggere qualche lavoro di Stern, o il recente libro di Ammaniti e Gallese, per capire di cosa sto parlando. Niente a che vedere con la telepatia. Parliamo di simulazione incarnata, neuroni specchio, etc. A questo punto, perché non proporre ai nostri pazienti concetti quali la numerologia o le influenze astrali? Sulla sua ultima frase “Capisco che ci sono colleghi che dopo 4 anni di una scuola frequentata alcune volte al mese o poco più, fanno questo mestiere ma, si rivolga altrove.” preferirei sorvolare in quanto nel contesto di questo dibattito non vuol dire assolutamente nulla.

  6. La spaccatura profonda tra Freud e Jung fu forse proprio per questo.
    Freud bollava come banali pratiche spiritistiche e fanatiche le idee della sincronicità di Jung. Ma poi ne riconobbe il valore, solo che aveva paura, che il già tanto criticato gruppo psicanalitico viennese di cui lui era il padre, venisse ancora di piu’ buggerato e tacciato di spiritismo (che agli inizi del ‘900 era ancora molto in voga). Jung semplicemente era tropp avanti per i suoi tempi. E fece bene Freud a mantenere fuori certe argomentazioni, perchè pian piano la psicanalisi prese piede e autorevolezza in campo medico. Penso che oggi, sinceramente (grazie anche ad autori quali Hillmann) sia giunta l’ora perchè tutta la psicanalisi si apra e studi i fenomeni sincronici. La divisione freudiani/junghiani mi pare divertente, come le partite scapoli/ammogliati. RItengo forse che nel 2015 si debbano superare certi steccati ma soprattutto, capire che allora, quella separazione fu utile a entrambi (Jung si stacco dal suo padre scientifico e prese la sua via, e Freud allontanò in un certo senso il suo figlio più ribelle, per mantenere nell’allora austera e bigotta società intatta la già precaria credibilità della psicanalisi, società che non poteva essere assolutamente pronta a capire la sincronicità).

  7. E’ interessante e condivisibile la sua lettura storica del conflitto Jung/Freud. La verità è che le “separazioni” dei figli dal padri, quando è venuto il tempo, è sempre drammatica ma condizione per la crescita. Sicuramente tra i due chi ha fatto più faticato è stato Jung ma è giusto, doveva crescere.

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