Eros e concupiscenza nella mistica cristiana

Eros
L’ Eros

Eros e  vita cristiana.

Per i cristiani il desiderio è Cristo. Ogni religione si misura sulle regole che pone attorno al sesso. Il termine concupiscenza fa parte del gergo teologico. E indica l’attrazione che le realtà sensibili trasmettono all’uomo interiore e all’uomo esteriore, al pensiero come alla sensibilità. Certo tra queste attrazioni quella legata al sesso è la più potente ma non è la sola: anche la ricchezza o il potere possono essere oggetto di queste passioni d’amore in cui l’uomo cerca la sua integrazione con il mondo.

La cultura cristiana ha considerato la concupiscenza soprattutto in riferimento agli atti materiali che essa compie, alle sue opere: e quindi è soprattutto il riferimento alla determinazione di ciò che è violazione della legge in senso materiale ed esteriore. E quindi il sesso, è stato considerato prevalentemente in ragione di ciò che la cultura cristiana considerava un atto difforme della legge naturale. In questo il cristianesimo si è comportato come tutte le altre religioni, che hanno regolato il sesso come bene sociale e quindi determinato da norme di contenuto che lo riguardavano specificamente.
Il volto di ogni religione si misura dalle regole che impone in materia sessuale al comportamento dei suoi aderenti. La religione nasce come regola sociale che fonda la convivenza, determinando in particolare le norme del rapporto tra uomo, donna e figli.
Ma il cristianesimo pone l’accento sul soggetto, è l’unica religione che differentemente dalle altre, si riferisce direttamente al comportamento interiore delle persone e quindi alle motivazioni che le muovono. Il cristianesimo pensa l’uomo come composto di una dimensione spirituale e di una materiale e pone l’ultimo accento, per giudicare la moralità di un atto, sull’intenzione della volontà. Quello che importa è l’oggetto a cui si indirizza la volontà del singolo. Per questo, nonostante l’attenzione che la cultura cristiana ha dedicato agli atti esteriori come oggetto di moralità, di giudizio etico, rimane fondamentale la dimensione del singolo. La bontà e la malizia di un atto hanno per oggetto l’atto esteriore, ma si fondano sul modo in cui è inteso e voluto dalla volontà che lo pone.

L ‘eros oggi.

Il termine concupiscenza è stato visto nella cultura moderna come legato alla dimensione materiale degli atti, così come era stata posta dai costumi cristiani. La caratteristica della modernità è stata la rivoluzione psicanalitica, che ha affrontato da un punto di vista non cristiano la dimensione interiore degli atti umani. Poiché il termine concupiscenza era stato legato dall’approccio cristiano alla dimensione del peccato negli atti esteriori che ne derivavano, questo termine non venne usato, nella psicologia moderna, come una parola significativa. Alla parola concupiscenza è stata sostituita dalla psicanalisi la parola libido.

La concupiscenza nel linguaggio cristiano era, nella sua forma concreta, determinata dal peccato originale. Tutto l’amore dell’uomo per il mondo è nella cultura tradizionale cristiana segnato dal peccato originale. Da un atto umano che ha informato di sé il modo e l’esistenza della natura. Il desiderio delle cose esteriori e dei rapporti del singolo con gli altri e degli altri con il singolo è segnato da una volontà di possesso e cambia la concupiscenza come dimensione dell’esistenza dell’uomo in una esasperazione della volontà di sé. Per la cultura cristiana il desiderio dell’altro fa parte della dimensione dell’uomo sia spirituale che corporea: ed è quindi in sé buona perché in essa si rispecchia la bontà del Creatore. Tuttavia la sua concreta esistenza è segnata dalla potenza del peccato che incide su tutti i rapporti dell’uomo con gli uomini e con le cose.

Il tema del peccato originale ha dominato tutta la storia del dibattito interno al cristianesimo sul tema della concupiscenza. La controversia tra cattolici protestanti è collegata ad esso. Per i protestanti, poiché esisteva una concreta inclinazione dell’uomo verso il male in conseguenza al peccato originale, tutti gli atti dell’uomo e tutti gli impulsi dell’uomo andavano considerati come peccato. La giustizia era assegnata ad essi dall’atto redentivo di Cristo, che permetteva agli uomini di ricevere, come realtà da essi aliena, la fede nel redentore. I cattolici si opposero alla definizione di ogni atto umano come peccato e sostennero che la concupiscenza era solo l’inclinazione al male, non era essa stessa peccato. Rimaneva nell’uomo la concupiscenza segnata dal peccato originale, ma era possibile vincerne il fascino mediante il dono della grazia.

La posizione cattolica afferma la giustificazione mediante la fede dovuta alla redenzione di Cristo, ma la distingue dalla santificazione, opera dello Spirito Santo che anima gli atti umani nel cristiano. Il pensiero cattolico rimase perciò il solo a motivare una attenzione alla dinamica degli atti del singolo e quindi al governo della concupiscenza in conformità della norma che determinava la moralità o l’immoralità dell’atto materiale. L’età della Controriforma è il tempo in cui la teologia morale, già sviluppata nella Scolastica, acquista un pieno significato e dà luogo a una letteratura fondata sull’analisi dell’uomo interiore e delle sue motivazioni. Il moderno nasce, soprattutto in Francia, nella ricerca dei tipi morali, nei caratteri che fondano il modo di esistenza del singolo, l’approccio di mediazione che egli fa con le sue pulsioni. E’ l’inizio letterario dell’attenzione all’uomo interiore non più in ragione del peccato ma di quella della sua comprensione come soggetto umano.
Con il protestantesimo avviene il passaggio alla modernità, il fatto che tutto sia peccato fa si che non lo sia più nessun atto particolare e che le regole della convivenza umana debbano essere quelle della società civile. Dal primato della morale si passa al primato del diritto, si ha la prima radicale secolarizzazione dell’Occidente.

Quale è la forza mediante cui il cattolico può regolare la sua concupiscenza in modo conforme alle norme della morale cristiana? Evidentemente questa forza deve essere assunta in quello che è proprio del cristianesimo, l’amor divino. La forza del cristianesimo consiste nel tema fondamentale della sua dottrina cioè l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, per cui il credente diviene veramente figlio di Dio, partecipe della natura divina. Il fatto che il Dio creatore della tradizione ebraica sia ora espresso da un uomo crocifisso cambia radicalmente il modo del sentimento spirituale, l’amore per Dio diviene più comprensibile se viene rivolto a un volto umano. La concupiscenza delle realtà esteriori all’uomo viene sostituita dall’amore per Cristo, in cui si fondono il sentimento di adorazione, classico di tutte le tradizioni religiose e quello di amicizia e di partecipazione. Il divenire del Verbo divino nell’umanità rende possibile il divenire dell’uomo nella divinità. Il cristianesimo crea perciò una motivazione interamente nuova nella storia delle religioni e delle spiritualità: ed essa si fonda sul protodogma del cristianesimo, la divinità di Gesù. La mistica cristiana è la trasformazione della concupiscenza umana verso un’altra finalità: quella dell’amore per Cristo come desiderio che vince gli altri desideri.

E’ significativo che la mistica come amore per Cristo sia propria del cattolicesimo e lo attraversi in tutta la sua storia. Nella prospettiva cattolica il cristiano sta innanzi al Cristo e ne sente l’attrazione in modo che può vincere le attrazioni del mondo sensibile. Si è sviluppato un filone presente già nella Bibbia ebraica, in cui si manifesta l’amore di Dio per Israele e la sua domanda di ricambiare questo amore come la forma piena del patto originario tra Israele e il suo Dio. Ammettendo il cantico dei Cantici nel canone dell’Antico Testamento, il rabbinato ebraico offrì al nascente cristianesimo un linguaggio che gli sarebbe stato tanto più facile di parlare perché il Dio di Israele assumeva per i cristiani il volto di un uomo che chiedeva ai credenti di diventare una sola cosa con lui. La mistica è il rovesciamento e il compimento della concupiscenza, la dimensione erotica diviene il linguaggio in cui meglio si può esprimere il rapporto tra il cristiano e il suo Dio. Si comprende come le donne abbiano avuto tanta parte nel linguaggio erotico della mistica cristiana. Già il tema di Dio come sposo di Israele indicava che il divino assumeva la forma di colui che possiede e l’uomo di colui che è posseduto. Ciò avviene in riferimento alla singola persona, ma anche alla chiesa come comunità. Il termine diviene in questo caso anche più intimo perché la chiesa è vista come corpo del Cristo che comunica alle sue membra la sua propria vita divino-umana. Senza la dimensione erotica e senza le pulsioni della concupiscenza, non esisterebbe la dimensione mistica come la vivono i mistici cattolici. È la figura corporea del desiderio che conduce alla transvalutazione dell’uomo. E’ la corporeità quella che esprime il linguaggio mistico cristiano, anche se esso è un atto della dimensione intellettuale e spirituale dell’anima umana.

La dimensione corporea è fondamentale in una visione del mondo in cui il momento fondamentale è la passione e la resurrezione di Cristo. Contro un intellettualismo, che era ben possibile quando il linguaggio cristiano attraversò il mondo greco, la centralità del corpo di Cristo diede sempre una accentuazione sulla dimensione corporea della spiritualità. Ciò prese forme diverse, anche singolari come le forme del monachesimo egiziano e siriano, che spinsero alle più rigorose forme di ascetismo sino a scegliere come proprio eremo una colonna o un albero. Quello che era essenziale era mostrare che la vita divina donata all’uomo incideva sul corpo, era capace di agire radicalmente sui suoi istinti. Era infine il medesimo senso che il martirio ebbe alle origini della chiesa, la sua proprietà, che è rimasta nel corso dei secoli. Il dono della vita divina doveva manifestarsi in un segno corporale, trasformare la concupiscenza mantenendo il suo riferimento a realtà sensibili, ma in forma opposta all’autoaffermazione del proprio dominio sugli altri. Per questa ragione la castità ha avuto un senso di confessione della fede in tutti i tempi cristiani segnati dalla tradizione. Quando, con la riforma protestante, l’accento sulla castità e la preferenza della verginità vengono meno, è l’inizio di una secolarizzazione del mondo cristiano, del suo “disincanto”. Nella concezione cattolica il dono della grazia associa i credenti al Cristo come suo corpo e determina la convinzione che il rapporto con il Cristo è corporeo e deve perciò segnare il corpo dell’uomo. Nella secolarizzazione del mondo cattolico, che avviene negli anni ’60, vengono meno sia la dimensione mistica che il forte accento messo sulla trasformazione del cristiano nel suo corpo. Il proprio del cristiano divengono le opere sociali. E’ un altro aspetto del cristianesimo che viene valorizzato, ma appunto esso non è un aspetto mistico, legato al tema della divinizzazione, ma un tema legato alla efficienza della carità.
Ciò però rischia di secolarizzare l’identità cristiana, di rendere cioè immanente al mondo e quindi non più fondata sulla dimensione cristica dell’esistenza cristiana ma dilatata come azione in termini che la giustifichino innanzi agli occhi del mondo.

E’ significativo che la prima enciclica di Benedetto XVI abbia per tema la concupiscenza e la mistica, l’eros e l’agape. L’amore come passione umana, l’amore come passione divina. Non è mai accaduto che una enciclica parlasse un linguaggio della erotica e della mistica come un linguaggio unitario. Se dovessimo tradurre nel linguaggio della tradizione teologica i termini usati dal Papa, dovremmo dire che eros corrisponde alla natura e l’agape alla grazia. Ma il Papa ha preferito usare un linguaggio diverso che mette in relazione appunto l’erotica e la mistica, la passione dell’uomo per l’altro e per il dominio dell’altro la passione di Dio per donare l’uomo sé stesso. Il Papa ha così voluto segnare l’uscita della chiesa dal tempo della secolarizzazione. E questo avviene quando un laicismo totale tende a fare della scelta umana la realtà della natura e il contenuto della libertà.

Il tema dell’omosessualità è divenuto emblematico perché esso viene interpretato come una scelta culturale, una determinazione del contenuto dell’esistenza. Non è l’omosessualità in sé che fa il problema, ma il fatto che essa divenga l’emblema della scelta umana come criterio della moralità e quindi, ancora una volta, il diritto pubblico prende il posto della libertà e della morale. In un tempo in cui la tradizione cristiana non passa di padre in figlio e la scienza divenuta tecnica sembra la forma di un mondo fatto dall’uomo senza misura neanche di sé stesso, la fermezza nel difendere l’essenza del cattolicesimo da parte del Papa è il vero segno del tempo: drammatico eppure consolante.

di Gianni Baget Bozzo

da: http://www.ilfoglio.it

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